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La donna che canta

Opinioni presenti: 12
Media Voto: Media Voto: 9.5 (9.5/10)

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"La donna che canta" e la PACE NEL MONDO

(8/10) Voto 8di 10

Quando ho letto l'opinione in cui si scrive che è bene che molte parti del film siano state lasciate in lingua originale, ho compreso che la mia scelta di vedere il film DIRETTAMENTE in lingua originale con sottotitoli in italiano (passi per francese e inglese ma io non capisco l'arabo) è stata saggia. Nel film si passa con naturalezza dal francese all'inglese all'arabo mentre il susseguirsi di eventi terribili, accompagnati da una colonna sonora a tratti struggente, ricorda allo spettatore, se mai ve ne fosse bisogno, che le guerre di religione sono l'evento più spaventoso che possa esistere. Eppure, malgrado l'infinito dolore che causa ogni guerra, l'uomo non è capace di farne a meno. Un Sacerdote che conoscevo mi disse che affinchè NEL MONDO VI SIA LA PACE dobbiamo imparare a vivere in armonia nella coppia, nella famiglia, nel condominio, nel quartiere, nella città, nella nazione: allora iniziamo col COSTRUIRE LA PACE IN CASA.



Margot, 52 anni, Roma (RM).




RELIGIONE FAMIGLIA RICERCA E GUERRA

(8/10) Voto 8di 10

a mio avviso si è drammatizzata troppo la vicenda. comunque, è un grade film che ha molti piani di lettura. le religioni causa di conflitti armati e divisioni fra popoli di una stessa nazione con tutto quello che ne consegue: morti, distruzioni, odi, abomini. la famiglia: i rapporti madre figli, l'amore infinito di una madre per i propri figli, le incomprensioni tra i figli e la loro madre. ricerca delle proprie origini: una dolorosa catarsi necessaria per capire, ricostruire e, forse, riuscire ad andare avanti per costruire (e ricostruirsi) un futuro migliore



giancarlo, 41 anni, verona (VR).




naturalmete umani

(10/10) Voto 10di 10

Film che stravolge e nello stesso tempo compatta i valori, al di fuori di ogni luogo comune. Un figlio della vergogna che diventa cecchino, toturatore, padre e fratello. frutto di influenze culturali, imposte da pressioni in cui ci si confronta con l'orrore di altre verità. In un labirinto di pensieri e di contrapposizioni. questa è la rivincita dell'amore, di una donna che ha saputo difenderla dai facili e comodi isterismi, in un silenzio assordante e a volte inconcepibile, ma che nello stesso tempo ha vinto quando si è arresa all'abbandono di quel figlio e all'abbandono in quelle che comunemente sarebbero vergogne. La mia riflessione è questa:l'ideologia è capace di mediare di fronte a tutto, io dico no. L'amore come istinto ha vinto, nel salvare frutti inconsapevoli del dolore. La cultura, l'abitudine secolare di unirsi tra consanguinei, di famiglie nobili ha dato origini a bizzarre caratteristiche ed anomalie fisiche aberranti, oltre che ad un' eugenetica. in natura questo non sarebbe successo, l'olfatto avrebbe fatto da repulsione, e da equilibratore. dov'è la giusta via? Indottrinare e controllare le menti, in nome di volontà e diritti superiori. io dico che un sano dubbio è meglio di qualsiasi assolutismo oltre che ti fa mettere in gioco.



salvatore, 48 anni, calvello (pz).




Il grande cinema della frontiera di guerra e pace

(10/10) Voto 10di 10

Il meccanismo narrativo di un'esecuzione testamentaria, racconta la scoperta di un'oscena storia di guerra di una mamma segnata dalla sua vita e dalla scoperta della verità. Senza dubbio eccezionale la storia e come la si svela, con tempi e modi che fanno uscire dal Canada ed entrare nella guerra del Libano, che fanno vedere l'anima dei due figli e danno tante emozioni allo spettatore. Accompagnati da delle figure paterne che sono di guida e di supporto nella ricerca della verità. La metafora della matemica (3 stupende scene, di cui una molto sarcastica con tante citazioni) per descrivere l'assurdità della guerra, con la scena finale che mette alle strette chiunque dando scenari di pace.



Hesalox, 37 anni, Cagliari (CA).




un dramma spiazzante

(9/10) Voto 9di 10

Già dalla prima sequenza capisco che ho davanti qualcosa che reclamerà da me condivisione di un dolore. C’è un ragazzino di origine medio-orientale in una stanza insieme ad altri, dei militari li rapano a zero; poi la macchina inquadra un particolare dei talloni e un primo piano degli occhi del bimbo, tristissimi e interrogativi, che mi guardano fissi e in silenzio. Solo alla fine ho capito chi era il titolare di quello sguardo ferito: il vero protagonista “nascosto” del film. Nel frattempo Denis Villeneuve, il regista canadese interessante e già bravissimo dopo il primo lavoro (Polytechnique), svolge la sua narrazione su due percorsi paralleli di vita, con una durezza, linearità e tensione crescente che rende l’opera perfetta nel montaggio e nella concatenazione dei fatti. Sembra di essere alle prese con una tragedia greca, con una fortissima carica accusatoria nei confronti di ogni conflitto e in particolare verso quelli alimentati dal fanatismo religioso, per cui una croce appesa al collo può perderti o salvarti. Due eroine al centro della narrazione con visi intensi, non ordinari. Non si sa chi è la più bella, sono madre e figlia ed entrambe compiono un viaggio a ritroso, la madre nel suo passato, la figlia nei luoghi dove dovrà rintracciare un padre mai visto e un fratello altrettanto sconosciuto. La donna è arrivata in Canada dopo una vita segnata dalla guerra e dalle violenze subite ed arrecate e si è allontanata dalle pietre e dai monti del Libano portandosi dietro un segreto terribile. Ha due figli gemelli, un maschio e una femmina, e nella nuova patria lavora presso un notaio. Alla sua morte, provocata da un evento a cui non ha resistito, “la donna che canta” lascia due lettere ai figli chiedendo loro di ricercar il padre ancora vivo e un fratello di cui ignorano l’esistenza. La giovane Jeanne si reca perciò nei luoghi ove la madre è vissuta e ricostruisce prima da sola, poi con l’aiuto del gemello Simon, tutta la storia di violenze inaudite che hanno caratterizzato la vita della madre , vittima e protagonista della lacerante guerra civile tra cristiani arabi e musulmani che avevano dilaniato il suo paese. Il film adattamento di un testo teatrale, ha una tale forza e un così alto livello di struggente poesia che ne risulta un’opera originalissima. Il colpo di scena finale arriva con una escalation che conosce dramma, scelte difficilissime, ma anche momenti di dolcezza. Niente è superfluo nel racconto, né a livello di immagine né di parola. Lo spettatore diventa un coprotagonista perché le emozioni hanno lo stesso spessore della verità che viene alla luce. Solo la speranza di catarsi che si intravede nella conclusione spezza la lucida tensione del racconto. Tra gli interpreti le due donne Lubna Azabal e Mélissa Désormeaux-Poulin giocano la parte del leone e ribadiscono il rifiuto della guerra da sempre rigettata dall’universo femminile.



olga, 65 anni, perugia (PG).





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