Troppo somigliante a Salvate il soldato Ryan, la storia della foto e dei protagonsisti che vanno in tournee loro malgrado, alla fine stanca.....
Corpi straziati, proiettili e granate, reclame di guerra falsa ma di buone intenzioni e stop, dentro il film non c'e' nulla.....
L´ultimo bel film di Eastwood, incentrato sul fronte di guerra del pacifico nell´ultimo anno della 2a guerra mondiale e sulle conseguenti reazioni politiche ed emotive negli Stati Uniti, verte in definitiva su questa domanda: Chi sono gli eroi? O meglio, di più: esistono davvero gli "eroi", ha senso parlarne in contesti sicuramente così confusi e tragici come sono (tutte!) le guerre?
E, riguardo a questa questione non semplice (che non può non richiamare, anche lontanamente, guerre attuali, specialmente agli occhi di uno spettatore americano) riesce egregiamente a portare consistenti elementi a favore dell´ipotesi che in tali immani macelli - in cui tutto sembra un immenso gioco macabro o una rappresentazione moderna del "trionfo della morte", raffigurato con scene visivamente straordinarie - la sola `idea´ di poter considerare qualunque soldato "eroe", fra coloro che hanno visto o partecipato (in qualche modo collaborandovi) a tale "macchina" che maciulla in pezzi i nemici o che fa sì che vengano maciullati i tuoi compagni, risulta semplicemente priva di senso. E questo è reso in modo eccellente nel film, che trasferisce la chiarezza di questo ribrezzo anche nello spettatore.
Questa chiarezza non vale, invece, per tutto un establishment politico ed economico statunitense, cui l´idea dell´"eroe" era necessaria, per poter continuare la guerra, per sperare di poter lenire il dolore delle madri e, in qualche modo, anche per tenere ben saldo il potere: e fa di tutto per portarla avanti, anche mistificando la verità senza alcun scrupolo...
Ma l´unico sentimento "alto" che si addice alla guerra è la pietà per i morti e la compassione per i vivi che ti stanno accanto: quel che ti spinge a combattere, dice Clint, più che "l´ideale" o "la patria" è la paura/amore di salvare la tua pelle e quella dell'amico accanto a te.
Va detto che Eastwood non pone e non vuole porre la domanda più grande circa la "necessità" delle guerre: ma sembra dire, di fronte a tanto strazio, che almeno non si abbia la sfrontatezza immorale di parlare di eroi.
Unica pecca: un po´ troppo lungo e `didascalico´ il finale
C’è un gioco che gli uomini continuano a fare da millenni: la guerra. Attraverso le immagini suggestivamente scolorite dello scontro tra americani e giapponesi nel Pacifico, Clint Eastwood sembra dirci che chi fa questo gioco perde sempre. Anche i vincitori. E infatti non vogliono essere promossi a eroi neppure coloro che hanno piantato la bandiera americana sul monte dell’isola giapponese di Iwo Jima: i tre soldati immortalati da un fortuito scatto cinematografico, rivelatosi di enorme impatto mediatico. Rimpatriati anche se la guerra non è ancora finita, i tre sono costretti a parodiare sino allo sfinimento psicologico la posa della bandiera, per commuovere gli americani e convincerli a continuare a finanziare lo sforzo bellico. Con un sottofondo musicale eccellente, il film mescola sapientemente le atrocità della guerra e le smargiassate della sua esaltazione retorica in patria: il fragore delle bombe si confonde con il rumore dei fuochi d’artificio dell'imminente vittoria, le luci della festa si sovrappongono ai bagliori dei razzi esplosivi. Ma ci vuole una coscienza anestetizzata o asservita al successo e al potere per potere sopportare il costo del gioco e della sua assurda replicazione scenica: il soldato indiano non ce la fa a sopportarlo. “Maledetta quella terra che ha bisogno di eroi”, affermava Brecht. E il regista è d’accordo: se nel gioco della guerra ci sono degli eroi è solo per amore e pietà verso i compagni, come l’umile soldato/infermiere che tenta disperatamente e con infinita compassione di lenire le sofferenze e lo strazio dei soldati.
Non c'è niente da fare, per gli americani il corpo dei marines è sacro ed intoccabile e questo bel film di guerra (ma non troppo "di guerra") ne è l'ennesima dimostrazione.I protagonisti diventano loro malgrado degli eroi solo perchè si sono trovati nel posto giusto al momento giusto (cioè fotografati mentre issano una bandiera stelle e strisce su una collinetta e la foto in questione è poi diventata forse la più famosa immagine di tutta la seconda guerra mondiale. Tutto qui)I tre marines in questione non accettano questa banalizzazione del loro ruolo,non accettano di essere eroi solo per aver appeso un panno colorato mentre molti dei loro commilitoni sono morti,questo creerà in loro non pochi conflitti e c'è di che capirli.Utilizzati come vere e proprie "attrazioni", viaggiano per gli States come parodie di se stessi, circondati da impresari e politicanti mentre si arrampicano su collinette di cartongesso intenti a ripetere la farsa dell'alza bandiera.Il personaggio più bello e più tragico è quello di Ira Hayes, l'indiano Pima che morirà alcolizzato e abbandonato da tutti (c'è una bella ballata di Johnny Cash che ne racconta la storia)ma anche per gli altri due, finita la festa,resterà soltanto l'oblio e il disinteresse generale.Chi pensa di vedere un film sulla battaglia di Jiwo Jima con ammazzamenti a profusione di giapponesi invasati e cose affini, si sbglia di grosso.Questa è la storia di tre uomini vittime della retorica della storia.