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Autore Sentenza Andreotti
Isabel
ex "CANDICE"

Reg.: 27 Feb 2002
Messaggi: 9043
Da: Santa Severa (RM)
Inviato: 16-12-2002 17:49  
[quote]In data 2002-12-16 17:26, Alessandro scrive:
quote:

Ma tutto nasce dal dubbio, legittimo (certo, viene solo con le persone famose,e questo è un male...) che anche dei giudici o dei magistrati possano fare errori (apposta o no).





e su ciò non c'è dubbio ..
sai qual'è una cosa che a me fa decisamente arrabbiare? (scusa il tono "aggressivo" non c'è l'ho con te, non ne ho motivo. Ma quando inizio ad infervorarmi durante una discussione non mi accorgo che posso pormi in modo aggressivo )
hai presente quando (solitamente quasi sempre in televisione), parlando di un carcerato, si assume quel tono fastidiosamente finto di "commiserazione", di "rispetto" verso questa gente?
lì sono capace di infervorarmi come una bestia.
dico, questa gente, per un motivo o per un altro, si trova in carcere, avrà compiuto qualcosa di grave perchè di trova lì, o no? e allora perchè adottare quel tono? considerando sempre e comunque ogni eventualità, tipo una sentenza ingiusta, un problema o altro etc, quella è sempre e cmq gente che ha compiuto un reato talmente grave da finire in carcere. adesso non che io non rispetti tali persone, anzi, tutt'altro, ma sicuramente non le commisero, ne parlo normalmente come se parlassi del mio portiere, del mio lattaio o della mia donna delle pulizie (che non me ne vogliano questi tre) ....
esagero forse?
_________________
http://charmecontradiction.splinder.it

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Isabel
ex "CANDICE"

Reg.: 27 Feb 2002
Messaggi: 9043
Da: Santa Severa (RM)
Inviato: 16-12-2002 17:49  
[quote]In data 2002-12-16 17:26, Alessandro scrive:
quote:

Ma tutto nasce dal dubbio, legittimo (certo, viene solo con le persone famose,e questo è un male...) che anche dei giudici o dei magistrati possano fare errori (apposta o no).





e su ciò non c'è dubbio ..
sai qual'è una cosa che a me fa decisamente arrabbiare? (scusa il tono "aggressivo" non c'è l'ho con te, non ne ho motivo. Ma quando inizio ad infervorarmi durante una discussione non mi accorgo che posso pormi in modo aggressivo )
hai presente quando (solitamente quasi sempre in televisione), parlando di un carcerato, si assume quel tono fastidiosamente finto di "commiserazione", di "rispetto" verso questa gente?
lì sono capace di infervorarmi come una bestia.
dico, questa gente, per un motivo o per un altro, si trova in carcere, avrà compiuto qualcosa di grave perchè di trova lì, o no? e allora perchè adottare quel tono? considerando sempre e comunque ogni eventualità, tipo una sentenza ingiusta, un problema o altro etc, quella è sempre e cmq gente che ha compiuto un reato talmente grave da finire in carcere. adesso non che io non rispetti tali persone, anzi, tutt'altro, ma sicuramente non le commisero, ne parlo normalmente come se parlassi del mio portiere, del mio lattaio o della mia donna delle pulizie (che non me ne vogliano questi tre) ....
esagero forse?
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Alessandro

Reg.: 12 Nov 2002
Messaggi: 1274
Da: Milano (MI)
Inviato: 16-12-2002 19:22  
[quote]In data 2002-12-16 17:49, Hollyanne scrive:
quote:
In data 2002-12-16 17:26, Alessandro scrive:
quote:

Ma tutto nasce dal dubbio, legittimo (certo, viene solo con le persone famose,e questo è un male...) che anche dei giudici o dei magistrati possano fare errori (apposta o no).





e su ciò non c'è dubbio ..
sai qual'è una cosa che a me fa decisamente arrabbiare? (scusa il tono "aggressivo" non c'è l'ho con te, non ne ho motivo. Ma quando inizio ad infervorarmi durante una discussione non mi accorgo che posso pormi in modo aggressivo )
hai presente quando (solitamente quasi sempre in televisione), parlando di un carcerato, si assume quel tono fastidiosamente finto di "commiserazione", di "rispetto" verso questa gente?
lì sono capace di infervorarmi come una bestia.
dico, questa gente, per un motivo o per un altro, si trova in carcere, avrà compiuto qualcosa di grave perchè di trova lì, o no? e allora perchè adottare quel tono? considerando sempre e comunque ogni eventualità, tipo una sentenza ingiusta, un problema o altro etc, quella è sempre e cmq gente che ha compiuto un reato talmente grave da finire in carcere. adesso non che io non rispetti tali persone, anzi, tutt'altro, ma sicuramente non le commisero, ne parlo normalmente come se parlassi del mio portiere, del mio lattaio o della mia donna delle pulizie (che non me ne vogliano questi tre) ....
esagero forse?




No, questo no. Perchè c'è gente (tanta) che va in carcere e poi viene fuori che è innocente. Viene scarcerato e indennizzato (dai cittadini italiani, non dal giudice che ha sbagliato) per il periodo passato in prigione.
Tutto perchè le prove della sua colpa non sono state approfondite come meritavano da un giudice poco capace(spero, nel migliore dei casi...).
Questo è chiaro, credo. Ci sono migliaia di casi del genere negli ultimi vent'anni, in Italia: non è detto che se uno venga messo in carcere sia colpevole. Come fai a dubitare di questo? Credi davvero che il sistema giudiziario, ovunque nel mondo, sia divinamente infallibile?
Uno non discute (giustamente)una sentenza che abbia prove precise e il più possibile certe della colpevolezza di un individuo. Ma quando ci sono prove che non reggono, hai il diritto di farlo. Perchè non dovrei?
_________________
Io sono tutti.

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Alessandro

Reg.: 12 Nov 2002
Messaggi: 1274
Da: Milano (MI)
Inviato: 22-03-2005 16:33  
quote:
In data 2002-12-16 17:16, Alessandro scrive:
quote:
In data 2002-12-16 17:00, Hollyanne scrive:
quote:
In data 2002-11-18 10:20, Marxetto scrive:
La cosa + sconvolgente di tutta questa vicenda sono le reazioni della politica successivamente alla sentenza!Se vi è capitato di dare 1 occhiata a qualche telegiornale di ieri...o di stamattina,avrete notato pareri pressochè unanimi,dal Presidente del Consiglio e il suo esecutivo in primis...ma anche da gran parte dell'opposizione(ma è davvero un opposizione? )In pratica Andreotti sarebbe 1 vittima in tutto e x tutto!Tutti gli ex DC non hanno esitato a difendere il loro leader consacrato(oramai da 50 anni a questa parte)Anche i verdi si sono detti sconvolti...i DS invece vogliono aspettare ulteriori dettagli x esprimere un parere!Cmq in generale il clima è abbastanza omologante...i giudici sarebbero soltanto dei cattivoni politicizzati che mandano avanti il Paese a colpi di condanne ingiustificate!Beh ma allora bisogna proprio mettersi d'accordo...non si può sostenere(parlo di molti parlamentari,di entrambi gli schieramenti)da 1 parte che le decisioni della Magistratura vanno rispettate quando fa comodo...e poi appena viene leso qualche "amico" si storce il naso.Se davvero esistesse il senso dello stato questi politicanti dovrebbero adeguarsi e non alimentare sospetti su una presunta(e assolutamente non comprovata) parzialità dell'organo in questione!Anche Ciampi si è detto "turbato"!Ma turbato di che?Se 1 poveraccio(magari innocente)viene condannato all'ergastolo nessuno si fa scrupoli...se si tratta invece di Andreotti allora la magistratura è corrotta!Buttiglione ha parlato addirittura di 1 evidente e mirato attacco alla persona del Giulio nazionale,che invece sarebbe un agnellino casto e puro!Ma mi facciano il piacere...diceva il grande Toto'!Un pò di coerenza,un pò di rispetto x le istituzioni che si rappresenta,please!



ragazzo mio, non potrei essere più d'accordo.
è la stessa ed identica cosa che ho pensato.
a prescindere dal fatto che andreotti possa essere o no innocente, va tenuto conto che un verdetto è stato deciso, e in base a ciò ci sarà un motivo. O no?
Beh allora è inutile che arrivino le forze della squadra speciale per difendere o colpevolizzare chi, la sentenza è stata espressa, e va accettata così com'è.




Io invece non potrei essere più in disaccordo. Perchè è vero che molti politici hanno semplicemente seguito la scia delle dichiarazioni unanimi, ma alcuni di loro sapevano esattamente cosa dicevano, conoscendo il modo in cui è stato condotto il processo di appello, rispetto al primo grado; le lacune nell'approfondimento delle prove, e la lettura solo parziale di molti dei documenti (anche se sono un numero altissimo); fino ad arrivare ad una sentenza che più originale non si può.
Se la Cassazione lo assolverà (come credo), sarà la prova che il 2° grado è stato condotto da fare schifo. Pensate che qualcuno pagherà per quell'errore?




Io credo di no.
_________________
Io sono tutti.

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pietro2004


Reg.: 28 Mag 2004
Messaggi: 1909
Da: Roma (RM)
Inviato: 22-03-2005 17:16  
quote:
In data 2002-12-16 17:16, Alessandro scrive:
quote:
In data 2002-12-16 17:00, Hollyanne scrive:
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In data 2002-11-18 10:20, Marxetto scrive:
La cosa + sconvolgente di tutta questa vicenda sono le reazioni della politica successivamente alla sentenza!Se vi è capitato di dare 1 occhiata a qualche telegiornale di ieri...o di stamattina,avrete notato pareri pressochè unanimi,dal Presidente del Consiglio e il suo esecutivo in primis...ma anche da gran parte dell'opposizione(ma è davvero un opposizione? )In pratica Andreotti sarebbe 1 vittima in tutto e x tutto!Tutti gli ex DC non hanno esitato a difendere il loro leader consacrato(oramai da 50 anni a questa parte)Anche i verdi si sono detti sconvolti...i DS invece vogliono aspettare ulteriori dettagli x esprimere un parere!Cmq in generale il clima è abbastanza omologante...i giudici sarebbero soltanto dei cattivoni politicizzati che mandano avanti il Paese a colpi di condanne ingiustificate!Beh ma allora bisogna proprio mettersi d'accordo...non si può sostenere(parlo di molti parlamentari,di entrambi gli schieramenti)da 1 parte che le decisioni della Magistratura vanno rispettate quando fa comodo...e poi appena viene leso qualche "amico" si storce il naso.Se davvero esistesse il senso dello stato questi politicanti dovrebbero adeguarsi e non alimentare sospetti su una presunta(e assolutamente non comprovata) parzialità dell'organo in questione!Anche Ciampi si è detto "turbato"!Ma turbato di che?Se 1 poveraccio(magari innocente)viene condannato all'ergastolo nessuno si fa scrupoli...se si tratta invece di Andreotti allora la magistratura è corrotta!Buttiglione ha parlato addirittura di 1 evidente e mirato attacco alla persona del Giulio nazionale,che invece sarebbe un agnellino casto e puro!Ma mi facciano il piacere...diceva il grande Toto'!Un pò di coerenza,un pò di rispetto x le istituzioni che si rappresenta,please!



ragazzo mio, non potrei essere più d'accordo.
è la stessa ed identica cosa che ho pensato.
a prescindere dal fatto che andreotti possa essere o no innocente, va tenuto conto che un verdetto è stato deciso, e in base a ciò ci sarà un motivo. O no?
Beh allora è inutile che arrivino le forze della squadra speciale per difendere o colpevolizzare chi, la sentenza è stata espressa, e va accettata così com'è.




...
Se la Cassazione lo assolverà (come credo), sarà la prova che il 2° grado è stato condotto da fare schifo. Pensate che qualcuno pagherà per quell'errore?




La Cassazione ha dimostrato che le indagini sono state legittime, perché ha confermato la collusione con la Mafia da parte del senatore a vita. Ma il periodo a cui risalgono i fatti provati sono caduti in prescrizione, e nel periodo successivo non ci sono prove schiaccianti.
!!!

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Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 25-04-2006 21:37  
dal sito wikipedia

http://it.wikipedia.org/wiki/Giulio_Andreotti
Provvedimenti giudiziari a carico di Andreotti
È stato sottoposto a giudizio a Palermo per associazione mafiosa. Mentre la sentenza di primo grado, emessa il 23 ottobre 1999, lo aveva assolto per insufficienza di prove, la sentenza di appello, emessa il 2 maggio 2003, distinguendo il giudizio per i fatti fino al 1980 e quelli successivi, ha stabilito che Andreotti aveva "commesso" il "reato di partecipazione all'associazione per delinquere" (Cosa Nostra), "concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980", che però è "estinto per prescrizione". Per i fatti successivi alla primavera del 1980 Andreotti è stato invece assolto.

Sia l'accusa che la difesa presentarono ricorso in Cassazione, l'una contro la parte assolutiva, e l'altra per cancellare l'infamante conclusione della sentenza di appello. Ma la Corte di Cassazione il 15 ottobre 2004 confermò la sentenza di appello. Nella motivazione si legge (a pagina 211):

«Quindi la sentenza impugnata, al di là delle sue affermazioni teoriche, ha ravvisato la partecipazione nel reato associativo non nei termini riduttivi di una mera disponibilità, ma in quelli più ampi e giuridicamente significativi di una concreta collaborazione».
Se la sentenza definitiva fosse arrivata entro il 20 dicembre 2002 (termine per la prescrizione) Andreotti sarebbe stato condannato in base all'articolo 416, cioè all'associazione "semplice", perché quella aggravata di stampo mafioso (416 bis) fu introdotta nel codice penale soltanto nel 1982, con la legge Rognoni-La Torre.

La conclusione di questo storico processo non fu però riportata con completezza dai media, che parlarono genericamente di assoluzione.

Invece, per il coinvolgimento nell'omicidio Pecorelli, in primo grado ebbe l'assoluzione, mentre la Corte d'Assise d'Appello di Perugia il 17 novembre 2002 lo ha condannato a 24 anni di reclusione. Andreotti ha presentato ricorso in Cassazione, che lo ha assolto.





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Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 25-04-2006 21:41  
dal Corriere della sera,
editoriale

Non confondiamo prescrizione e innocenza

http://www.senato.it/notizie/RassUffStampa/060403/afm5x.tif

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JerichoOne

Reg.: 06 Mar 2006
Messaggi: 3171
Da: Frittole (FI)
Inviato: 25-04-2006 23:11  
Incollo due articoli molto interessanti di Diario sulla vicenda. Mi ha molto colpito la definizione di "mafia buona" coniata dall'avvocato di Andreotti Giulia Bongiorno, appena promossa al Senato nelle liste di An, riguardo ai vari Bontate e Badalamenti. Per farsi un'idea di che razza di persona fosse Badalamenti basta vedere film come Placido Rizzotto o I cento passi.

La mafia buona
La Sicilia, l’Italia e Cosa nostra
di Enrico Deaglio

Sabato scorso, a commento delle motivazioni della sentenza Andreotti, Antonella Rampino ha intervistato per La Stampa l’avvocato Giulia Bongiorno che molti ricordano come la giovane star del «processo del secolo». L’avvocato ha ripercorso dieci anni di affettuoso rapporto legale-cliente raccontando che il senatore aveva difficoltà a capire la Sicilia e che lei, palermitana, gliela doveva continuamente spiegare. Andreotti non capiva che cos’era un «mandamento», non si ricordava chi fosse Stefano Bontate, non riusciva a capire il concetto di «famiglia». Non riusciva neppure a realizzare «la differenza tra la mafia cosiddetta buona e quella stragista».
L’avvocato Giulia Bongiorno dava lezioni private al senatore, studente «intelligentissimo», ma sideralmente lontano dal quel mondo. Dove abbia preso quella definizione di una «mafia cosiddetta buona», però, non ce lo dice. Forse era solo per semplificare di fronte all’allievo un po’ tonto: ogni maestra ha i suoi metodi. E in fin dei conti anche lei ha avuto successo: benché impreparato il suo studente ha superato gli esami. Assolto e prescritto. Prescritto e assolto. Come si diceva una volta al ricevimento parenti: «La testa ce l’ha, ma non si applica».

DUE BOOM DIVERSI. Per rinfrescare i metodi di insegnamento dell’avvocato – augurandole nel contempo tanti nuovi clienti – si potrebbe ricordarle che non è mai esistita una mafia «cosiddetta buona». Se potessimo però fare da professori supplenti al senatore, potremmo raccontargli un’altra storia.
Questa storia, che è poi la storia del Paese di cui è stato sette volte presidente del Consiglio, racconta che la mafia siciliana, detta Cosa nostra, ha sempre tenuto in scacco, dalla nascita della Repubblica, la politica nell’isola, uccidendo braccianti, sindacalisti, gente onesta generica, comunisti e magistrati e dando i suoi voti al partito della Democrazia cristiana, perché questa, al governo, le permettesse di continuare a fare i propri affari.
Il senatore Andreotti aveva in Sicilia il più forte apporto di voti alla sua corrente nel partito. Dall’inizio degli anni Settanta, Cosa nostra fu protagonista di uno dei più grandi boom economici (boom anche in altri sensi) della nostra storia patria. Cosa nostra, oltre ad avere lo storico controllo nell’isola sulle terre e sul cemento, sugli appalti pubblici, sulla grande distribuzione, sul contrabbando dei tabacchi, sull’esazione dei tributi (affidata ai noti cugini Salvo), prese infatti il monopolio della raffinazione dell’eroina per il mercato nordamericano, un affare che le permise di accumulare denaro sufficiente a competere con i più grandi gruppi industriali italiani.
Per la prima volta erano gli Usa che pagavano l’Italia: migliaia di miliardi (per dare un’idea delle dimensioni dell’affare, la città di New York, quando si svegliava negli anni Settanta, aveva bisogna di cento chili di eroina tagliata per soddisfare la richiesta ed era un tale Bontate a rifornirla. E quando arrivavano i pagamenti, in assegni da milioni di dollari, il capomafia locale che li girava in banca, al posto della firma ci scriveva «a mia proprio»).
Ma Cosa nostra fu, a suo modo, «patriottica». Non portò i suoi soldi all’estero, ma li investì in Italia, a partire da Milano. Investì perché credeva nel Paese. A Milano aveva a disposizione grandi banchieri come Michele Sindona e Roberto Calvi e un bello stuolo di gangster in grado di sequestrare la molle borghesia locale per convincerla a più miti consigli. Comprò cantieri edili, negozi, immobili, azioni, amministratori, uomini politici, terreni, località turistiche, case da gioco, ristoranti, locali notturni, il mercato ortofrutticolo, il mercato dei fiori, le bische. E si comprò anche, perché questo è forse il significato vero del termine «riciclaggio», il riciclaggio di se stessa. Guai a offenderla. E siccome si lamentavano di pagare le tasse, esclamarono: no taxation without representation, nel senso che si comprarono delle belle fette del governo nazionale.
Tutto questo è successo veramente, ma sarebbe davvero ingeneroso farne carico unicamente a Giulio Andreotti. Negli stessi anni, infatti, divampava un terrorismo politico che arrivò fino all’immaginabile: il sequestro per 55 giorni del presidente della Democrazia cristiana; e la sua uccisione. E Andreotti aveva giustamente la testa lì.
Ma non si accorsero di che cosa stava succedendo i sociologi, i politici, gli economisti. La Banca d’Italia non si accorse di piccoli sportelli nell’agrigentino che traboccavano di soldi; i sindacati chiedevano «investimenti al Sud», mentre era il Sud che stava occupando il Nord; i governi si vantavano del «sommerso» che faceva marciare l’economia, facendo finta di non sapere che quel sommerso era in genere di origine criminale. Certo, erano tempi violenti. E quando poi ai siciliani si unirono i napoletani e i reggini, il tripudio di morte fu massimo (solo i Balcani ci hanno superato, come numero di morti in Europa nel dopoguerra. Mai tante persone sono state ammazzate per favorire potere, investimenti, proprietà. Mai così poche per gelosia o altri affari di cuore).
A dire il vero, in quegli anni Settanta qualcuno si era accorto del cambiamento che l’Italia subiva sotto la spinta della sopraffazione. Uomini diversi tra di loro, come uno scrittore agrigentino, Leonardo Sciascia, che lo intuì ante litteram; un avvocato monarchico milanese, Giorgio Ambrosoli; un commissario di polizia di Palermo con dei grossi baffi, Boris Giuliano; un ragazzo di nome Peppino Impastato; un giornalista di nome Mario Francese; due giudici comunisti vecchio stile di nome Costa e Terranova: quest’ultimo era talmente retro che il suo autista si chiamava Lenin; un generale dei carabinieri che ne aveva viste tante, Carlo Alberto dalla Chiesa. E poi tanti, tantissimi altri, la cosiddetta società civile o opinione pubblica, che si chiama così quando non viene ascoltata.
Giulio Andreotti, in quegli anni, era un po’ come Fabrizio Del Dongo a Waterloo. Non capiva: prendeva i voti, incontrava i capimafia chiedendo loro per favore di non uccidere qualcuno, ma la polvere della battaglia gli impediva la visuale complessiva e dopo che l’amico era stato ammazzato non si ricordava di quelle parole oblique che aveva ascoltato.
I giudici di Palermo ora hanno parole un po’ dure e un po’ morbide per Giulio Andreotti, fissando nel contempo delle date certe. Andreotti mafiò fino alla primavera del 1980. Poi non mafiò più. Chissà perché, quella data: lo vedemmo forse, negli anni seguenti ai trenta funerali eccellenti siciliani? No, nessuno lo vide, se non ai funerali di Salvo Lima. Ma chi può negare che quel giorno anche lui, così distratto, avesse capito il disastro che era successo in Italia? Era il marzo del 1992. Ci aveva messo dodici anni per capire.
Ma se oggi una persona legge – in una motivazione di sentenza – che Andreotti incontrò due volte Stefano Bontate, la prima per chiedergli di non uccidere il presidente della Regione Piersanti Mattarella; la seconda per (timidamente) protestare perché Stefano Bontate l’aveva fatto uccidere, uno sconforto viene. E Bontate, secondo l’avvocato Giulia Bongiorno, era la «mafia cosiddetta buona». Aho, penza se era quella cattiva!, direbbe il senatore.

E OGGI? Dieci anni fa il Parlamento approvò praticamente all’unanimità una relazione della Commissione antimafia che indicava tra le ragioni dell’ascesa criminale di Cosa nostra la sua intimità con la Democrazia cristiana. Era fondamentalmente giusta. Anche le inchieste giudiziarie di Chinnici, Falcone, Borsellino, Caselli erano giuste e solide.
In questi trent’anni nessuna forza politica ha posto al primo posto della sua agenda il problema dei patrimoni, dell’influenza politica e della capacità criminale accumulata dalla mafia. Forse è stato un bene, che ci ha preservato da una guerra civile: quando un’organizzazione criminale viene attaccata frontalmente nei suoi beni, nel suo riciclaggio conquistato, nella sua rispettabilità, ebbene questa si difende. E noi, che siamo tutti pacifisti, non vogliamo la guerra.
E quindi è un bene che la Sicilia abbia un elettorato stabile; che molti avvocati dei mafiosi stiano in Parlamento, a nostra garanzia, più che a quella dei loro clienti; che questa pace si paghi con la presenza di una classe politica isolana mediocre; ed è un bene supremo – quello che Andreotti non era riuscito a ottenere – che in Sicilia da dieci anni non ci siano più «cadaveri eccellenti». Ed è in fin dei conti un bene che si cominci a parlare dell’esistenza di una «mafia buona», non solo immaginata come un ente tradizionale, folklorico, attento alla coesione sociale, dedito al volontariato, ma una forza trainante della nostra economia. Trent’anni fa, ma soprattutto oggi.
Sbagliano quindi i giornali europei a chiamare Berlusconi Il Padrino. Sbagliano i magistrati di Palermo ad accanirsi contro Marcello Dell’Utri sostenendo che la Fininvest venne fondata negli anni Settanta con i soldi di Stefano Bontate. L’Italia di oggi non merita tutto questo.
Considerate che trent’anni fa ci sia stata una grande tempesta, che portò soldi, idee nuove, energia: Andreotti non la capì perché era distratto e già anziano. Silvio e Marcello erano più giovani e più attenti. Speriamo che continuino a governarci bene.

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JerichoOne

Reg.: 06 Mar 2006
Messaggi: 3171
Da: Frittole (FI)
Inviato: 25-04-2006 23:12  
Le tre svolte di Giulio
Quando decise che la mafia era cattiva
di Gianni Barbacetto

Per tre volte, nella sua lunghissima vita politica, Giulio Andreotti ha bruciato le navi, si è tagliato i ponti alle spalle. Per tre volte ha compiuto una svolta radicale: cambiando tutto per non cambiare niente. La prima volta è stata nel 1974, quando in una clamorosa intervista ha «bruciato» Guido Giannettini, l’informatore dei servizi segreti ricercato per la strage di piazza Fontana in contatto con gli stragisti neri. La seconda è stata nel 1990, quando ha ammesso l’esistenza di Gladio e ha reso pubblico un primo, parziale elenco dei membri della pianificazione segreta anticomunista. La terza è stata quando lo «zio Giulio», dopo anni di «amichevoli rapporti» con i boss siciliani, ha voltato le spalle a Cosa nostra.
Quando è avvenuta la terza svolta? Nella primavera del 1980, dicono le motivazioni della sentenza d’appello di Palermo del processo ad Andreotti Giulio, imputato di associazione per delinquere e associazione di tipo mafioso. È avvenuta molti anni dopo, all’inizio degli anni Novanta, dicono invece alcuni studiosi di cose mafiose. Comunque sia, oggi almeno una cosa si può affermare: Giulio Andreotti – senatore a vita della Repubblica italiana, sette volte presidente del Consiglio, l’immagine stessa del potere in Italia – è stato strettamente legato ai boss. Sarebbe stato condannato per i fatti fino alla primavera 1980, se la sentenza non fosse arrivata troppo tardi: l’associazione per delinquere si prescrive infatti dopo 22 anni e mezzo, quindi nell’inverno 2002. La sentenza è arrivata il 2 maggio 2003. Andreotti, dunque, ha evitato la condanna per pochi mesi.
Ha un bel dire, il presidente della Camera Pierferdinando Casini, che la storia la devono scrivere gli storici e non i giudici. Gli storici non potranno fare a meno di leggere anche questa sentenza, che allinea una serie di fatti – rapporti, contatti, incontri, connivenze, scambi – tra «zio Giulio» e i boss. Fatti provati. E non sarebbe male che la leggessero anche i politici, per evitare di rilasciare dichiarazioni inadeguate. «E i fatti che la Corte ha ritenuto provati dicono, comunque, (...) che il senatore Andreotti ha avuto piena consapevolezza che suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; ha, quindi, a sua volta, coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss; ha palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia, ancorché non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; ha loro chiesto favori; li ha incontrati; ha interagito con essi; ha loro indicato il comportamento da tenere in relazione alla delicatissima questione Mattarella, sia pure senza riuscire, in definitiva, a ottenere che le stesse indicazioni venissero seguite; ha indotto i medesimi a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi (come l’assassinio del presidente Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati; ha omesso di denunciare le loro responsabilità, in particolare in relazione all’omicidio del presidente Mattarella, malgrado potesse, al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza». Così dice la sentenza. «Di questi fatti, comunque si opini sulla configurabilità del reato, il senatore Andreotti risponde, in ogni caso, dinanzi alla Storia».

IL CASO MATTARELLA. Continuano i giudici: «La manifestazione di amichevole disponibilità verso i mafiosi è stata consapevole e autentica e non meramente fittizia». Conseguenza: «La manifestazione di amichevole disponibilità verso i mafiosi, proveniente da una personalità politica così eminente e così influente, non ha potuto, di per sé, non implicare la consapevole adduzione alla associazione di un rilevante contributo rafforzativo». In altre parole: Cosa nostra, la più pericolosa organizzazione criminale italiana, è stata rafforzata in maniera rilevante dall’«amichevole disponibilità» di un politico così potente. Ce n’è abbastanza per giustificare un civile disprezzo per il senatore, o almeno per smetterla di invitarlo ai talk show o d’intervistarlo con deferenza su ogni argomento?
L’episodio più agghiacciante che i giudici gli addebitano è la vicenda Mattarella. Piersanti Mattarella, leader democristiano e presidente della Regione siciliana, viene ucciso il giorno dell’Epifania, il 6 gennaio 1980. Gli sparano sotto casa, a Palermo, mentre con la moglie, la madre e i suoi due figli sta per uscire dal garage, diretto a messa, alla parrocchia di San Francesco da Paola. Anni dopo, il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia spiega: «Dopo avere intrattenuto rapporti amichevoli con i cugini Salvo e con Stefano Bontate, ai quali non lesinava favori, Mattarella successivamente aveva mutato la propria linea di condotta». Voleva ripulire la Dc siciliana. Aveva rotto con le vecchie amicizie. Era entrato in rotta di collisione, per esempio, con l’onorevole democristiano Rosario Nicoletti. Nicoletti, testimonia Marino Mannoia, «riferì a Bontate».
I vertici di Cosa nostra, preoccupati per l’atteggiamento di Mattarella, chiedono allora un incontro con il loro massimo referente politico, Giulio Andreotti. E la richiesta è rapidamente soddisfatta. Il grande statista scende a Palermo e si incontra con i suoi: l’onorevole Salvo Lima, i cugini Salvo, l’onorevole Nicoletti. E con il capo di Cosa nostra, Stefano Bontate. Il vertice tra Andreotti e Bontate avviene in una riserva di caccia, tra la primavera e l’estate del 1979. Ma Mattarella non cambia linea e così viene eseguita la sentenza di morte. Nicoletti non regge al rimorso e si uccide. Andreotti torna in Sicilia, torna a incontrarsi con Bontate: fa le sue rimostranze, come dopo un piccolo sgarbo, un affare andato male. Non una denuncia, non una parola ai magistrati. Dopo molti anni, Franco Evangelisti, braccio destro di Andreotti, dichiara a verbale: «Conoscevo Piersanti Mattarella. Dopo che questi fu ucciso, chiesi pure a Salvo Lima che cosa ne pensasse. Egli mi rispose con questa sola frase: Quando si fanno dei patti, vanno mantenuti».
Ora la sentenza, dopo 22 anni e mezzo più qualche mese, dice: «I fatti non possono interpretarsi come una semplice manifestazione di un comportamento solo moralmente scorretto e di una vicinanza penalmente irrilevante, ma indicano una vera e propria partecipazione alla associazione mafiosa, apprezzabilmente protrattasi nel tempo». Ma Andreotti incassa l’assoluzione «e per il resto, amen». Altri, attorno a lui, minimizzano, dicendo che, in fondo, «tutti sapevamo da tempo» (Giuliano Ferrara), o che la colpa di Andreotti è di aver accettato il «quieto vivere», che le sue responsabilità sono quelle, politiche, di aver creato in Sicilia un blocco di potere che inglobava anche la mafia (Emanuele Macaluso). Ma è «risaputo», è «politico», è «quieto vivere» incontrare almeno un paio di volte il capo di Cosa nostra e discutere con lui – animatamente, per carità – dell’omicidio di un compagno di partito in Sicilia?

LA SVOLTA. Dicono i giudici che la svolta avviene «progressivamente» dopo il 1980, dopo l’omicidio di Mattarella. In quell’occasione, Andreotti «non si è mosso secondo logiche istituzionali, che potevano suggerirgli di respingere la minaccia alla incolumità del presidente della Regione facendo in modo che intervenissero per tutelarlo gli organi a ciò preposti e, per altro verso, allontanandosi definitivamente dai mafiosi, anche denunciando a chi di dovere le loro identità e i loro disegni: il predetto, invece, ha, sì, agito per assumere il controllo della situazione critica e preservare la incolumità dell’onorevole Mattarella, che non era certo un suo sodale, ma lo ha fatto dialogando con i mafiosi e palesando, pertanto, la volontà di conservare le amichevoli, pregresse e fruttuose relazioni con costoro, che, in quel contesto, non possono interpretarsi come meramente fittizie e strumentali».
Eppure molti commenti hanno, anche in questo caso, minimizzato, giocando con le parole: Andreotti avrebbe avuto rapporti, in fondo, con l’«ala moderata» di Cosa nostra, o addirittura la «mafia buona» (Giulia Bongiorno). In che cosa consisteva la «moderazione» (o la «bontà») della Cosa nostra di Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo, Tano Badalamenti? Furono loro a entrare alla grande nel business dell’eroina, diventando raffinatori in Sicilia e esportatori verso gli Usa. Furono loro a scatenare l’offensiva «colombiana» del 1979, una mattanza senza precedenti in cui furono ammazzati il capo della Squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, il capo del giudici istruttori Cesare Terranova, il procuratore della Repubblica Gaetano Costa, il presidente della Regione Piersanti Mattarella. Furono loro a eliminare Peppino Impastato, quello dei Cento passi. Di questa mafia Andreotti fu sodale, intraprendendo «una vera e propria partecipazione alla associazione mafiosa, apprezzabilmente protrattasi nel tempo».
Dopo l’80, però, il senatore si sarebbe progressivamente staccato dall’antico sodalizio: i suoi giudici hanno ritenuto insufficienti le prove portate dall’accusa sui contatti successivi. Ma nel 1981 Bontate viene ucciso durante la guerra di mafia scatenata dai corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano. E gli uomini di Andreotti in Sicilia, da Lima ai cugini Salvo, non soccombono insieme ai «perdenti»: annusata l’aria, li abbandonano e passano con i corleonesi. Per un’altra decina d’anni. Andreotti, il loro capo a Roma, non sapeva, non vedeva, non capiva? Nel 1982 viene ucciso il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, che prima di partire per Palermo passa da Andreotti per dirgli che non avrà riguardo per la «famiglia politica più inquinata dell’isola» e il senatore «sbiancò in volto».
È solo alla soglia degli anni Novanta che le cose cambiano davvero. Andreotti capisce che il sistema non regge più e (come aveva fatto per le «stragi di Stato» e per Gladio) manovra per sganciarsi dai cattivi rapporti siciliani. Lascia mano libera, al ministero della Giustizia, a Claudio Martelli e al suo nuovo direttore degli Affari penali, Giovanni Falcone. Non si mobilita perché la Cassazione blocchi le condanne definitive ai mafiosi per il maxiprocesso di Palermo. È solo allora che Cosa nostra prende atto del «tradimento» e avvia la stagione della resa dei conti: il 12 marzo 1992, a Mondello, uccide il proconsole di Andreotti nell’isola, Salvo Lima. Negli ultimi attimi prima della morte, forse gli sarà tornata alla mente la frase detta qualche anno prima a Evangelisti: «Quando si fanno dei patti, vanno mantenuti».

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JerichoOne

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Inviato: 25-04-2006 23:26  
E questa è la versione, più leggera di Daniele Luttazzi.

Tutt'altro che la verità

RaiSat Extra ha trasmesso la presentazione del libro “Nient'altro che la verità” di Giulia Bongiorno, ( palazzo Wedekind, Roma, il 5 dicembre scorso ). Pippo Baudo, Francesco Cossiga e Cesare Romiti, seduti a destra della Bongiorno, ne hanno approfittato per assolvere Andreotti dal reato di partecipazione all'associazione a delinquere Cosa nostra, facendo finta che la Bongiorno avesse vinto la causa relativa.

L'avvocatessa Bongiorno, spiega Pippo Baudo, lesse ogni carta processuale ben 5 volte ciascuna ( -E sono decine di migliaia!- ) per comprendere appieno il loro significato. ( Le avesse lette 6 volte, magari ci arrivava davvero, al loro significato: Andreotti, fino all'80, ha fatto parte dell'associazione a delinquere Cosa nostra. E' stato provato infatti che Andreotti incontrò i capi dell'ala moderata della mafia, Bontate e Provenzano, tramite Salvo Lima, che era capo della sua corrente in Sicilia. Andreotti “dialogava coi mafiosi”, “chiedeva loro qualche favore”, “ inducendoli a fidarsi di lui e a parlargli di fatti gravissimi come l'assassinio di Mattarella nella sicura consapevolezza di non essere denunciati.” Fino all'80, quando della mafia nessuno sapeva nulla, dato che Buscetta cominciò a parlare con Falcone a partire dall'85.

Il processo non era quindi basato su teoremi, come la tv e la stampa di regime hanno sostenuto. Solo che il reato commesso è caduto in prescrizione. Con coerenza, qualcuno si è incaricato poi di fare una legge per impedire al giudice Caselli, che istruì il processo, di diventare capo della Superprocura antimafia !

Andreotti, con la stessa faccia con cui negava di conoscere i Salvo, andò in tv a parlare di manipolazione dei pentiti ( falso: nessun pentito che lo accusa è stato denunciato per calunnia ); e a dire che la Cassazione non poteva annullare la prescrizione ( falso: poteva annullarla, come fece nel caso Pecorelli. Invece ha confermato. )

Cossiga, per non essere da meno, attacca Rita Borsellino! -Sciascia mi spiegò i professionisti dell'antimafia. E qui taccio perché è un fatto di queste ore. Adesso non abbiamo solo l'ucciso, ma anche la sorella dell'ucciso. Poi avremo il nipote dell'ucciso e così via.- Baudo, che ha appoggiato pubblicamente la Borsellino, tace, ma fa una faccia come se avesse in bocca un bignè di diarrea.

( Avessi un mio programma tv, parlerei volentieri di queste cose, ma non è più possibile. Cossiga disse di Satyricon:- La storia dello spettacolo non potrà mai giustificare la volgarità e la violenza politica e morale di un varietà indecente come quello condotto dal signor Luttazzi. -)

Romiti spiega invece perché il libro non lo ha scritto Andreotti: perché "Andreotti sente così aliena da sé l'intera vicenda che è come se fosse capitata a un altro". ( ! )

Andreotti, che sembra sempre arrivato giovedì scorso, se la godeva, seduto in prima fila. Se pensate che una sentenza come quella che lo riguarda basti a smontarlo, vi sbagliate di grosso. Nei perigli, ha un asso nella manica: Ercole Aldrovandi. Pingue, rubizzo, tonante, Aldrovandi ha tutto l'aspetto di un principe del Foro: e lo è. Classe 1920, bolognese, da più di 30 anni è il talento comico nascosto dietro le battute più belle del Divo Giulio. Avete presente “ Il potere logora chi non ce l'ha?” E' sua.

Come ha cominciato, avvocato Aldrovandi?

Ercole Aldrovandi: Non ricordo.

Ah, ah, ah! Questa è buona!

EA: Vero? L'ho fatta dire ad Andreotti vent'anni fa al maxi-processo di Catanzaro. Funzionò a meraviglia. Rischiammo grosso, però. Andreotti infatti avrebbe voluto pronunciarla accompagnandosi con tutta una serie di smorfie tipo Petrolini nello sketch di Nerone. “Non ricordo. Bravo! Grazzie!” Io invece ritenevo indispensabile un'interpretazione più adeguata ai tempi: labbra irrigidite sulle gengive, sguardo sfuggente, corpo immobile, secondo il modello di Archie Rich nel finale dell'Entertainer di Osborne. Per fortuna riuscimmo a convincerlo.

Riuscimmo chi?

EA: Io e Walter. ( Walter Chiari, per il quale Aldrovandi scrisse fra l'altro la scenetta del Sarchiapone e la commedia musicale "Non è vero che tutto fa brodo", NdR. ) A proposito di Walter, vorrei ricordare un episodio. Nel film Il signore sì che se ne intende, che è del '57, gli facevo fare la parte di un presidente del Consiglio che invitato a un ricevimento dal dittatore dell'Argentina ci va pensando a una festa con mille invitati e invece vi incontra due sole persone: Peròn e il capo della P2, che Walter scambiava per il presidente della Permaflex. Quando, più di vent'anni dopo, Andreotti si cacciò in un guaio simile, per allontanare tutta la cattiva stampa che gli si accaniva contro mi fu sufficiente fargli riciclare quella vecchia gag.

E quando, con prova fotografica, lo hanno accusato di aver incontrato uno dei cugini Salvo…

EA: … Andreotti dice che l'aveva scambiato per il direttore dell'albergo. Esatto, la gag è la stessa.

Quali comici la divertono?

EA: Danny Kaye. Tutti i film di Danny Kaye sono variazioni sul grande tema del doppio. Ogni volta che sono un po' in difficoltà, tiro fuori Danny Kaye.

Infatti quando hanno rinfacciato ad Andreotti la sua amicizia pericolosa con Sindona, lui ha risposto…

EA: …”C'è un Sindona 1 e un Sindona 2. Io ho avuto rapporti col Sindona 1.” Sì, questo è puro Danny Kaye.

E se per caso mi accusano di conoscere Salvo Lima, figlio del boss mafioso Vincenzo Lima, appoggiato da Stefano Bontate e legatissimo ai cugini Salvo, mi basterà rispondere che conoscevo Salvo Lima l'europarlamentare.

EA: Il Salvo Lima 1. Vedo che sta imparando.

In passato, c'è chi ha ipotizzato anche un Andreotti vero capo della P2 che bloccò la liberazione di Moro perché questi stava denunciando gli affari di Andreotti, come sarebbe attestato dai verbali delle Brigate rosse finiti in mano a Mino Pecorelli e al generale Dalla Chiesa, entrambi assassinati, il primo dalla banda della Magliana, il secondo dalla mafia. Un medico di Rieti, Adriano Monti, che partecipò al golpe Borghese, ha rivelato a Giovanni Minoli ( La storia siamo noi, Raitre, 5 dicembre 05 ) che se il golpe fosse andato in porto, il capo del governo militare sarebbe stato Andreotti, su indicazione della CIA. ( -Sono stati gli americani,- commenta Andreotti parlando del suo processo per mafia. Una coincidenza? ) Stando al memoriale postumo di Antonio La Bruna, ufficiale del Sid, Andreotti approvò la ripulitura dei nastri magnetici in cui alcuni protagonisti parlavano del golpe Borghese, di Licio Gelli e di ufficiali piduisti che partecipavano a riunioni Nato. La contromossa?

EA: Categorica smentita di Andreotti:-Non sono Andreotti.-

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nboidesign

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Inviato: 26-04-2006 13:59  
tnx jerico .. begli articoli..
li ho letti di gusto.. anche se dicevano cose che sapevo già ..molto ben scritti..
speriamo servano a chi non sa come sono andati i fatti.

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JerichoOne

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Mi ero confuso però, quello di Placido Rizzotto era Liggio, non Badalamenti.

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