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Autore Ogni giorno un disastro aereo!...come mai?
Tenenbaum

Reg.: 29 Dic 2003
Messaggi: 10848
Da: cagliari (CA)
Inviato: 23-03-2006 14:50  
Scalette traballanti, posti non assegnati e sporchi, scarafaggi a bordo


«Ho volato su un volo nella lista nera»

L'inviato del Corriere della Sera Massimo Alberizzi è stato costretto a utilizzare un velivolo della Weasua Air per andare in Liberia

A BORDO DI UN AEREO WEASUA
Che cosa voglia dire Weasua nessuno lo sa, ma tutti, in Africa occidentale, sanno che è la compagnia liberiana che vola tra Freetown (capitale della Sierra Leone), Monrovia (capitale della Liberia) e Abidjan (capitale della Costa D’Avorio). E sanno anche che è black listed, cioè sulla lista nera delle società aeree. D’altro canto se hai fretta di andare a Monrovia non puoi che servirti della Weasua Air Transport.

IL VOLO - Per volare su uno dei suoi tre suoi aerei Antonov, ad Abidjan devi andare in aeroporto dove Ernst, l’impiegato factotum, cerca di confonderti per estorcerti il denaro prima che possa accorgerti su quale carretta stai per volare ed eventualmente cambiare idea. Premuroso e gentile, Ernst, elegante come un figurino, completo scuro e cravatta rosso fuoco, dopo averti fatto accomodare al bar dello scalo, scompare con il tuo passaporto e il tuo denaro. Non ti permette neanche di fiatare. «Torno subito, aspettami qua. Vado a prendere il tuo biglietto», intima con un sorriso che sembra fatto apposta per dare fiducia a chi sta per giocare alla roulette russa. Ordina poi ai camerieri con gran cipiglio: «Servite subito una bibita ai signori». Naturalmente la bibita poi ti sarà addebitata. Dopo dieci minuti lui non arriva e a te viene il sospetto che ti abbia fregato, ma non puoi abbandonare i bagagli e andarlo a cercare. In più non hai neppure il tuo passaporto. Dalla posizione dei tavolini dove sei seduto, ispezioni con gli occhi tutto il salone dell’aeroporto. Niente. Di Ernst non c’è traccia. Quando decidi di avvicinarti a un poliziotto in giro di ispezione, lui si materializza, passaporto in mano. «Buon viaggio scandisce in inglese, in francese e in un italiano stentato. Prima che tu ti accorga che il prezzo del biglietto espresso in Franchi dell’Africa francofona è diverso – più basso naturalmente – di quello che hai pagato in dollari la cui cifra compare sulla ricevuta è troppo tardi. Ernst è di nuovo scomparso.

LA PARTENZA - Si doveva partire alle 14,30, ma l’aereo rulla sulla pista tre ore dopo. L’equipaggio russo aveva bisogno di fare un pisolino. «Troppa vodka la sera prima» , azzarda un passeggero nella enorme sala d’attesa dove, gli unici stravaccati sulle poltroncine sono i passeggeri Weasua. La compagnia, naturalmente, non è Iata. Non fa parte cioè della confederazione delle società aeree che si sono impegnate a seguire certe regole e a scambiare i dati sui loro orari. La sigla stilizzata Wat è disegnata in tre tonalità di azzurro diverso sulla coda dell’aereo e sul biglietto. Null’altro ti fa capire su che volo stai volando. La scaletta per salire a bordo è stretta e traballante. Ti dà l’impressione di crollare. Meglio evitare di salirci in due contemporaneamente. Così lasci che il passeggero davanti a te entri nella pancia dell’aereo prima di affrontare i gradini. Ma lui è un po’ grasso e il terzo scalino si spezza in due. Lo steward in ciabatte turkmene, riconoscibili dal ricciolo sulla punta non fa una piega. Tutto è normale. Quando sali a bordo dell’aereo, rimasto al sole cocente alcune ore, vieni assalito da una calura infernale e cominci a fare la sauna. I posti non sono assegnati e sono stretti e angusti. La fodera delle poltrone, una sorta di pied-de-poule grigiastro, sono lacere e macchiate. Finalmente, grondante come una fontana, raggiungi una poltrona che ti pare meno peggio delle altre. Ti pare; perché quando un signore sprofonda in quella davanti a te, il suo schienale si abbassa fino ad inchiodarti le ginocchia. Inutile parlare del segnale luminoso “Allacciare le cinture”. Non c’è. In alcuni posti non si sono neppure le cinture. La mia mi resta in mano quando cerco di agganciarla. Ci sono invece gli adesivi “Vietato fumare”. Le altre scritte sono incomprensibili, in russo, come i piloti. Le cappelliere sono aperte, senza sportello e la gente le riempie di computer e altri oggetti pesanti senza curarsi che in caso di atterraggio o decollo violento tutto potrebbe piombare sulle teste dei passeggeri. Le prime file di posti (tre all’andata verso Monrovia, due al ritorno verso Abidjan) sono occupate da un enorme montagna di bagagli. La stiva infatti è inagibile per buona parte piena di barili di benzina. In caso di incidente (anche banale) il disastro è assicurato.

IL VIAGGIO - Alla partenza, mentre un tubo piazzato sotto il sedile comincia a tagliare il sedere, l’aria condizionata comincia a funzionare, Ma non ci sono bocchette e il fresco esce dalle fessure tra le lastre di formica che ricoprono le pareti e si materializza, a causa dell’umidità che condensa, in nuvolette spesse e grigie. Naturalente non c’è il tavolino né il foglio di istruzioni su come comportarsi in caso d’incidente. Manca anche la busta per il vomito, cosa che preoccupa un po’ giacchè l’aereo quando è in quota comincia a ballare: “Sembra quasi che sbatta le ali”, borbotta un passeggero allarmato. Ma a bordo non ci sono solo passeggeri. Un salto in bagno permette di imbattersi in una colonia di scarafaggi. Devono aver trovato rifugio sull’aereo da diverso tempo, giacché non sembrano per nulla spaventati dall’entrata dell’intruso nella toilette. Il rumore di ferraglia assomiglia a quello che si sentiva sui vecchi treni e l’acqua dello scarico, che dovrebbe essere blu, è invece inquietantemente marrone. Viene subito da pensare a un riciclo. La botta all’atterraggio è piuttosto forte e di solito accompagnata da una crassa risata da parte dei piloti. La compagnia appartiene a Manuel Cuenca, il console onorario di Spagna in Liberia. Cuenca è un miliardario, simpatico e disponibile e si occupa personalmente della sua gallina dalle uova d’oro. Lui è sempre in attesa sotto la pancia dei suoi aerei e assiste a imbarchi e sbarchi. Una volta è stato imbattibile. Per permettermi di prendere il suo aereo, che sarebbe dovuto partire due ore prima del mio arrivo ad Abidjan, è bastata una telefonata. Il Weasua è stato ritardato a bella posta. I passeggeri erano furibondi, ma, grazie al console, ho raggiunto Monrovia in tempo.
Massimo A. Alberizzi

23 marzo 2006

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