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Autore Elezioni irachene e referendum italiani
ipergiorg

Reg.: 08 Giu 2004
Messaggi: 10143
Da: CARBONERA (TV)
Inviato: 14-02-2005 15:16  
A quanto pare ha vinto la coalizione sciita. Ma non si capisce bene se con più o meno del 50% dei voti o, meglio con più o meno del 50% dei seggi. Certo se fossero meno del 50% dei seggi ci sarebbe da ridere in faccia a quelli come Arlacchi che parlavano di "dittatura della maggioranza" che già è un concetto ridicolo, ma se non ci fosse nemmeno la Maggioranza, ancora una volta ci sarebbe da chiedersi come fanno questi ad avere la sicumera di volerci spiegare la realtà.

http://www.basilicatanet.it/news/article.asp?id=305012
http://www.audionews.it/notizia.asp?id=105876

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ipergiorg

Reg.: 08 Giu 2004
Messaggi: 10143
Da: CARBONERA (TV)
Inviato: 14-02-2005 15:40  
A quanto pare ci sono dati un po' più precisi

MAGDI ALLAM - I risultati delle prime elezioni libere in Iraq hanno un grande vincitore e un grande perdente. Il grande vincitore è il popolo iracheno che con oltre 8 milioni di elettori, circa il 60 per cento degli aventi diritto, ha sfidato il terrorismo e bocciato la sua strategia mirante a trasformare l’Iraq nel fronte di prima linea della guerra santa di bin Laden e dei baasisti contro l’Occidente e i paesi musulmani moderati. Il grande perdente è il partito dei catastrofisti che, partendo dalla condanna assoluta e pregiudiziale dell’America, aveva immaginato e auspicato uno scenario da guerra civile con una crescita incontrollata e generalizzata del terrorismo.

Una prima lettura dei risultati indica che ci sarà un sostanziale equilibrio tra gli esponenti islamici e laici in seno al futuro parlamento. Contrariamente a quanto non si pensi, la Lista irachena unitaria che fa riferimento al grande ayatollah al Sistani, che ha ottenuto il 48 per cento dei voti e 131 seggi su 275, comprende sia personalità religiose sia laiche. Così come laici sono certamente il raggruppamento curdo che ha ottenuto il 26 per cento dei voti e 70 seggi, e la Lista irachena del premier Iyad Allawi che ha ottenuto il 13 per cento dei voti e 38 seggi.

Questo risultato lascia intendere che l’Iraq del futuro sarà uno Stato federale e sostanzialmente laico. Sulla federazione tra regioni che si uniscono sulla base della contiguità territoriale c’è un’intesa di fondo tra curdi, sciiti e sunniti moderati. Quanto all’identità sostanzialmente laica sarà il compromesso tra quanti auspicano l’applicazione della sharia quale unica fonte della legislazione e quanti pur riconoscendo il riferimento identitario all’islam, intendono salvaguardare il principio della laicità di uno Stato di diritto.

Se ci si sintonizza con il pensiero e le speranze reali degli iracheni ascoltando le televisioni e le radio che trasmettono dall’Iraq, si scopre che ciò che veramente interessa la maggioranza della popolazione è il miglioramento concreto del proprio tenore di vita e l’affermazione della sicurezza ovunque nel paese. Intervistati subito dopo l’annuncio dei risultati delle elezioni, molti hanno chiesto al nuovo parlamento e al nuovo governo di operare per la lotta alla disoccupazione, la creazione di posti di lavoro per tutti, per assicurare i beni di prima necessità a partire dalla fornitura dell’energia elettrica. In aggiunta alla sicurezza combattendo il terrorismo. Non ho sentito nessuno parlare o preoccuparsi dell’ occupazione militare. Non perché non si voglia il ritiro degli americani, degli inglesi e degli italiani. Ma perché c’è la consapevolezza che oggi è nell’interesse generale che queste forze multinazionali, che sono legittimate da due risoluzioni delle Nazioni Unite, restino nel paese. Ed è così che mentre in Occidente si litiga e ci si divide su questioni ideologiche, gli iracheni pensano solo ai fatti pratici della quotidianità. Ebbene anche questa è una lezione che dovremmo trarre dal voto iracheno: smetterla di essere più iracheni degli iracheni.
_________________
Spock: We must acknowledge once and for all that the purpose of diplomacy is to prolong a crisis.

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xander77

Reg.: 12 Ott 2002
Messaggi: 2521
Da: re (RE)
Inviato: 14-02-2005 19:04  
Mi auguro vivamente che l'Iraq possa essere uno stato laico, ma in questo senso mi permetto di nutrire fortissimi dubbi.
_________________
"Quando sarò grande non leggerò i giornali e non voterò. Così potrò lagnarmi che il governo non mi rappresenta. Poi quando tutto andrà a scatafascio, potrò dire che il sistema non funziona e giustificare la mia antica mancanza di partecipazione"

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riddick

Reg.: 14 Giu 2003
Messaggi: 3018
Da: san giorgio in bosco (PD)
Inviato: 17-02-2005 18:24  
quote:
In data 2005-02-13 18:59, christabel scrive:
Invece a me fanno molto riflettere altri due punti:
1- il fatto che solo 1/3 della popolazione abbia votato
2- il fatto che ci siano volute delle settimane per arrivare ad un risultato.

E poi vogliono farci credere che in Iraq stà prendendo piede la democrazia! Democrazia sottomessa solo ed esclusivamente alla volontà americana e occidentale!
Che tristezza!

_________________
Open up your heart, let me sleep inside...

[ Questo messaggio è stato modificato da: christabel il 14-02-2005 alle 21:11 ]


la percentuale dei votanti è simile a quella di tante votazioni italiane...
_________________
M.O.I.G.E. al rogo

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honecker

Reg.: 31 Gen 2005
Messaggi: 626
Da: Pankow (es)
Inviato: 18-02-2005 20:53  
Un articolo di Giorgio Bocca:

Quella resistenza totale e feroce


Non concepiamo i kamikaze e il loro disprezzo per la vita umana. Ma anche nella nostra storia ci furono eroi che andarono deliberatamente alla morte

I veri resistenti in Iraq sono quelli che resistono, caro Fassino, non quelli che la pensano come noi, i ricchi della Terra che, gira e rigira, la pensiamo come gli americani. Dire che i veri resistenti iracheni sono quelli che sono andati a votare significa che a nostro parere i resistenti armati, quelli che guidano le autobombe, che attaccano la polizia collaborazionista non lo sono, sono delle presenze demoniache indegne del nome di resistenti.

Ma questo è un modo di ragionare tipicamente antistorico, colonialista, che appartiene al moralismo del più ricco e del più forte. È evidente che il modo di essere del terrorismo islamico, della resistenza islamica, non può piacere a chi è nato e cresciuto in una democrazia e in una cultura cristiana: non riusciamo a concepire i kamikaze e la loro totale indifferenza per la vita umana anche se nella galleria dei nostri eroi ci stanno combattenti che andarono deliberatamente alla morte, anche se nelle lettere dei condannati a morte della Resistenza ci sono scelte per la morte preferibile al tradimento e alla trattativa con il nemico.

Osama Bin Laden, il suo rappresentante in Iraq Al Zarqawi, i loro tagliatori di teste, i loro torturatori non corrispondono ai nostri modi di pensare e di praticare la resistenza; ma, piaccia o non piaccia, sono la resistenza come è concepibile in quello che chiamano l'integralismo islamico e anche il risorgimento islamico.
Questa resistenza totale e feroce non può essere negata perché non ci piace, perché usa dei metodi e delle armi che sfuggono alle nostre prevenzioni e alle nostre contromisure. Non può essere storicamente negata soprattutto perché, quando faceva comodo a noi, l'abbiamo praticata; perché quando faceva comodo agli americani radere al suolo le città giapponesi con l'atomica, le hanno rase; perché quando gli inglesi volevano terrorizzare la Germania nazista, la terrorizzavano con i bombardamenti al fosforo.

Lo sdegno e la demonizzazione dell'avversario o del diverso fanno parte della propaganda, ma il realismo storico è un'altra e più importante faccenda, e questo realismo storico avrebbe dovuto ricordare ai conservatori imperialisti di Bush che la maggior parte della pubblica opinione araba è per la resistenza totale, che l'11 settembre del 2001 per la maggior parte degli arabi è stata una vittoria e non la vergogna feroce che pare a noi occidentali e cristiani.

Questo nostro modo di giudicare gli altri secondo i nostri valori e il nostro metro è assai poco realistico. Prendiamo ad esempio l'esultanza, il gaudio generale a cui partecipa anche la sinistra italiana per le elezioni in Iraq. Hanno votato e hanno vinto gli sciiti, appoggiati dall'Iran dove il clero sciita è al governo.
Ma per cosa hanno gioito i democratici dell'Occidente? Che vadano al governo dell'Iraq gli stretti parenti religiosi degli ayatollah che hanno soffocato nell'Iran la democrazia, che in pratica abbia vinto un paese che è il primo nella lista americana degli 'Stati canaglia'?

Nella realtà malamente dissimulata dalle retoriche vien fuori che noi, sinistra compresa, stiamo dalla parte americana, dalla parte degli interessi strategici ed economici degli Stati Uniti. Vien fuori che a noi della democrazia che potrà nascere da queste elezioni fatte in stato di occupazione interessa poco o nulla. Interessa soltanto che nasca un governo docile e subalterno, che normalizzi una buona volta l'estrazione e il commercio del petrolio, dia le concessioni alle 'sette sorelle' e anche al nostro Eni, con piena soddisfazione del cavaliere Berlusconi che rivendica i meriti della nostra partecipazione militare.."


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honecker

Reg.: 31 Gen 2005
Messaggi: 626
Da: Pankow (es)
Inviato: 19-02-2005 11:22  
Elezioni in Iraq
"una storia, raccontata da un idiota, piena di rumore e violenza,
che non significa nulla." - William Shakespeare


I media e l'Amministrazione Bush stanno marciando a pieno ritmo nello strombazzare le elezioni di domenica, 30 gennaio 2005, come una vittoria per la democrazia. Comunque, queste elezioni non variano nulla nel panorama Iracheno. Il giorno dopo le elezioni, il popolo dell'Iraq si è svegliato ancora con i 150.000 soldati USA che occupavano il loro paese, con Ayad Allawi, il designato capo dello stato in attività CIA, e con i progetti del Pentagono per la costruzione di 14 basi militari permanenti che tranquillamente andavano avanti.

Democrazia significa, "legge del popolo". Quello che è avvenuto domenica semplicemente prosegue la legge dell'occupazione militare e di un governo imposto.

Queste sono state elezioni prive di significato.

Questo lavoro del teatrino della politica non può essere assolutamente descritto precisamente come una elezione. In una elezione, coloro che votano vanno a scegliersi i candidati, che poi entreranno in carica ed eserciteranno il potere in qualche misura.
In queste elezioni, i votanti non sono andati al voto per un candidato, e nemmeno per un partito politico. Invece si sono recati alle urne per una lista, che includeva diversi partiti o candidati che
individualmente non vi era modo di conoscere.
Queste liste erano state approvate dall'Alto Commissariato per le Elezioni designato da Bremer. I nomi dei 7.700 candidati non erano disponibili pubblicamente, cosicché non vi era modo di conoscere in favore di chi effettivamente si era votato.

I candidati che verranno selezionati alla fine di questo processo non eserciteranno alcuna autorità esecutiva o legislativa. Formeranno solamente una assemblea nazionale provvisoria, che delineerà una Costituzione, sotto la supervisione degli occupanti.

Non è stata data al popolo Iracheno l'opportunità di votare sull'occupazione, è stato concesso loro solo di votare per delle liste anonime, che rappresentano candidati approvati dagli USA, che non
avranno alcun potere di modificare i piani USA per la colonizzazione dell'Iraq.

Naturalmente, il popolo dell'Iraq desidera votare in libertà e in elezioni limpide per determinare il proprio futuro, ma l'occupazione non era oggetto del voto, e così viene respinta qualsiasi pretesa che
sia avvenuta una elezione degna di questo nome.

Le più di 100.000 persone che sono state ammazzate dagli Stati Uniti durante questa guerra non hanno avuto l'opportunità di votare. Nemmeno l'hanno avuta i prigionieri nelle camere di tortura di Abu Ghraib.

Ritornando all'Iraq del 1955.

È significativo come l'Amministrazione Bush stia conclamando che queste sono le prime elezione democratiche da cinquant'anni a questa parte. Si fa riferimento alle ultime elezioni democratiche tenute sotto il regime monarchico insediato dagli USA e dalla Gran Bretagna per eleggere una
camera di consiglio, che comunque non aveva poteri esecutivi o legislativi. La sola sua funzione era quella di provvedere una facciata di legittimità ad un regime fantoccio; le elezioni non
cambiavano il fatto che il popolo Iracheno si trovava sotto l'oppressione delle compagnie petrolifere Statunitensi e Britanniche.
Meno di tre anni più tardi, una sollevazione rivoluzionaria popolare di massa abbatteva la monarchia corrotta e, già da quel tempo, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna stanno tentando di riportare l'Iraq al medesimo stato semi-coloniale. Queste elezioni fanno parte di questo loro piano.

Il governo USA non ha mai dimostrato alcun interesse a portare la democrazia in Medio Oriente. L'ex Segretario di Stato USA Henry Kissinger ha delineato la politica degli Stati Uniti nella regione
quando affermava che "il petrolio del Medio Oriente è troppo importante per lasciarlo in mano agli Arabi." Gli USA non hanno messo in atto alcun tentativo per portare la democrazia in nessuna delle nazioni di quell'area, dove loro però mantengono truppe: i popoli del Kuwait, dell'Arabia Saudita, e degli Emirati Arabi Uniti vivono tutti sotto monarchie feudali, senza libere elezioni, diritti civili, diritti di associazione o diritti per le donne.

Queste sono state elezioni sotto occupazione.

È importante enfatizzare le circostanze sotto le quali si sono tenute queste elezioni. Più di 150.000 soldati occupano il paese, pattugliando le strade con armi puntate contro il popolo Iracheno. Attraverso tutto l'Iraq, le forze di occupazione USA hanno imposto una serie di misure di sicurezza senza precedenti - compresi coprifuochi del tipo "sparate a vista", chiusura delle frontiere, restrizioni sulla circolazione delle auto e sui viaggi all'interno dell'Iraq.

Queste elezioni si sono svolte sotto la supervisione dell'Ambasciatore USA John Negroponte. Negroponte ha prestato servizio come Ambasciatore USA in Honduras nel periodo 1981-1985 ed è stato coinvolto con i terroristi della Contra e con gli squadroni della morte. Mentre era Ambasciatore, l'Honduras costituiva la piattaforma di lancio dalla quale l'Amministrazione Reagan conduceva i suoi violenti attacchi contro i popoli del Nicaragua, El Salvador, e Guatemala.

Il predecessore di Negroponte, Paul Bremer, aveva fissato le regole per queste votazioni. L'organizzazione che conduceva le elezioni, l'Alto Commissariato per le Elezioni, era stata insediata da Bremer, e aveva l'autorità di escludere qualsiasi partito che non incontrava il beneplacito di Washington. Prima di abbandonare il suo posto, Bremer emetteva una serie di clausole, che non potevano essere rovesciate da nessuna elezione. Molti di questi articoli, che sono in violazione del
diritto internazionale, hanno a che fare con il saccheggio delle risorse dell'Iraq e con il controllo della sua economia da parte delle Corporations USA. Questo non ha costituito materia di voto per il
popolo Iracheno, decisioni che influenzano sul suo futuro sono state prese dal governo di occupazione agli ordini di Wall Street.

Ad assistere Negroponte ci hanno pensato due organizzazioni con base negli USA con una lunga pratica di manipolazione di elezioni all'estero a beneficio degli interessi delle compagnie Statunitensi, l'Istituto Nazionale Democratico per gli Affari Internazionali (NDI) e l'Istituto
Internazionale Repubblicano (IRI). Entrambe le organizzazioni lavorano in stretto collegamento con la Fondazione Nazionale per la Democrazia e con l'Agenzia USA per lo Sviluppo Internazionale, gruppi usati da molto tempo dalla CIA per operazioni sotto copertura all'estero.
Ad esempio, sono state implicate nell'orchestrare il colpo di stato fallito e i ripetuti referendum in Venezuela, nel tentativo di abbattere il Presidente Hugo Chavez, eletto democraticamente dal popolo. Entrambe le organizzazioni sono coinvolte nella manipolazione delle elezioni in Ucraina per assicurare l'insediamento di un capo di stato filo Stati Uniti.

Elezioni del tutto simili si sono svolte durante la guerra degli Stati Uniti contro il popolo del Vietnam. Erano state condotte sotto l'occupazione militare, amministrate dagli USA, e non si erano svolte in nessun modo per qualche reale forma di auto-governo. Nessuna delle elezioni gestite dagli USA in Vietnam sono riuscite a conferire legittimità al governo di occupazione o a mettere fine alla resistenza.
Allo stesso modo, queste elezioni sono state condotte sotto la minaccia delle armi, amministrate da un criminale di guerra, e sotto la direzione delle Corporations con copertura CIA.
Pretendere che tutto questo abbia a che fare con la democrazia, è oltraggioso!

Queste elezioni non hanno alcuna credibilità.

Queste elezioni sono risultate quasi uniche, dato che non vi erano osservatori internazionali. Non vi era alcuna fonte esterna a monitorare il modo di votare, l'integrità delle schede, o lo scrutinio.
Il solo gruppo di monitoraggio era costituito da osservatori addestrati da gruppi come l'Istituto Nazionale Democratico, in altre parole dalla CIA.

In assenza di osservatori internazionali per il controllo del processo di voto, le elezioni sono tanto credibili quanto che la gente sia corsa a votare: l'Amministrazione Bush, che ha mentito sulle armi di distruzione di massa, che ha mentito sui collegamenti fra Al Qaeda ed Iraq, mente su tutto quanto sia associato a questa guerra e all'occupazione.

Queste elezioni costituivano una campagna di pubbliche relazioni.

L'opposizione all'occupazione è andata in crescendo negli USA. Molta gente, compresi membri del Congresso, hanno cominciato a domandare la fine dell'occupazione.

Le elezioni erano state organizzate per creare l'illusione di un progresso, in modo più rilevante dell'impostura del trasferimento di poteri avvenuto il 28 giugno dell'anno scorso.
L'idea era quella di creare una nuova "fiction" per dare legittimità all'occupazione. Le falsità sulle armi di distruzione di massa erano state svelate. La falsità che il popolo dell'Iraq fosse coinvolto negli attentati dell'11 settembre è stata rigettata. Così ora, l'Amministrazione Bush sta sollevando la causa delle democrazia per giustificare una occupazione che continua.

La rivendicazione che gli USA sentono la necessità di portare la democrazia in Iraq, che questo paese piomberebbe nella guerra civile senza la presenza delle truppe USA, è razzismo puro. Si tratta del rimasticamento di argomenti usati dall'Impero Britannico e da altri imperialismi per giustificare la colonizzazione di intere nazioni.

Molte delle persone che sono andate a votare, hanno preso parte alle elezioni pensando che questo faccia parte di un processo che dovrebbe portare alla fine dell'occupazione del loro paese. Tutti i sondaggi indicano che la stragrande maggioranza degli Iracheni esige l'immediata fine dell'occupazione. Quando gli Iracheni realizzeranno che le elezioni sono servite solo per giustificare una occupazione ulteriore e il saccheggio della loro nazione, questo indurrà lo sdegno e la resistenza a livelli ancora più alti.

Il mito di un'alta partecipazione.

Malgrado le proclamazioni dei media di una partecipazione altissima, in molte zone i seggi elettorali risultavano chiusi o deserti. Solo un gruppo ristretto di persone ha votato a Fallujah, Samarra e a Ramadi.
Degli Iracheni che vivono all'estero, l'80% degli aventi diritto al voto non ha votato. Questo spazza via la diceria che la bassa affluenza sia stata causata da problemi di sicurezza. L'affluenza è stata bassa perché il popolo si oppone all'occupazione e aveva individuato che le elezioni erano un tentativo di pubbliche relazioni, data l'occupazione del loro paese.

Il popolo Iracheno esige da subito la fine dell'occupazione.

L'interesse autentico per la democrazia dovrebbe portarci a riconoscere che il popolo Iracheno si è opposto all'occupazione. Inchieste e sondaggi hanno ripetutamente dimostrato che il popolo
dell'Iraq esigeva che le truppe se ne andassero via subito, non dopo elezioni organizzate dietro le quinte e dopo l'insediamento di un regime fantoccio.

La resistenza radicata in tutto il paese dimostra qual'è il sentire del popolo Iracheno verso gli occupanti. Gli occupanti non sono là per portare la democrazia, hanno invece portato morte, distruzione e tortura. Il popolo Iracheno e un numero sempre crescente di persone nel mondo esigono che tutto questo abbia fine.

The International Action Center
www.iacenter.org
iacenter@iacenter.org


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honecker

Reg.: 31 Gen 2005
Messaggi: 626
Da: Pankow (es)
Inviato: 19-02-2005 11:23  
IRAQ. ECCO SPIEGATO PERCHE’ LE ELEZIONI SONO STATE UNA FARSA
di Sami Ramadani

Da: The Guardian, Londra, 2 febbraio 2005


Come confermato da fonti delle Nazioni Unite, non è stato tenuto alcun registro o pubblicata alcuna lista degli elettori - tutto quello che ci viene raccontato è che circa 14 milioni di persone erano autorizzate a votare.


Il 4 Settembre 1967 il New York Times pubblicò la storia vivace e celebrativa sulle elezioni presidenziali che erano state organizzate dal regime fantoccio Sud Vietnamita al culmine della guerra in Vietnam. Sotto il titolo "Gli Stati Uniti incoraggiati dal voto in Vietnam: I funzionari parlano di una affluenza al voto dell'83% malgrado il terrore dei Vietcong ", il giornale riportava che gli Americani "Erano rimasti sorpresi e rincuorati" dalle dimensioni dell'affluenza alle urne "malgrado la campagna terroristica condotta dai Vietcong allo scopo di impedire il voto ". Un'elezione riuscita, continuava, "è stata lungamente vista come il punto chiave nella politica del presidente Johnson di incoraggiare lo sviluppo dei processi costituzionali nel Vietnam del Sud". Gli echi della propaganda di questo fine settimana sulle elezioni in Iraq paiono tanto vicini a tutto questo da parere come irreali.

Con la valanga di interpretazioni e letture che sono state date all'evento e che si sono susseguite senza sosta nei giorni scorsi, potreste pure essere perdonati se pensaste che il 30 Gennaio 2005 l'occupazione dell'Iraq guidata dagli Stati Uniti si è conclusa e che la gente Irachena ha guadagnato la propria libertà e i propri diritti democratici. Questa è stata una campagna dai molti strati, rievocativa del delirio prebellico sulle Armi di Distruzione di Massa e delle fantasie sui fiori che gli Iracheni stavano raccogliendo da gettare alle forze invasori. Come potreste far quadrare la parola democrazia, libera e corretta, con la realtà brutale dell'occupazione, la legge marziale, una commissione elettorale nominata dagli Stati Uniti e candidati segreti, una realtà alla quale raramente è stato permesso di mettersi sulla strada dell'ingannevole campagna per promuovere le elezioni.

Se è la verità ad essere la prima vittima della guerra, in un'elezione controllata dall'occupazione a venir sacrificata per prima è qualunque cifra che si possa ritenere affidabile. Il secondo strato della propaganda era stato appunto designato allo scopo di convincerci che una stragrande maggioranza degli Iracheni ha partecipato al voto. L'annuncio che è stato dato inizialmente di una partecipazione alle elezioni del 72% è andato velocemente retrocedendo al 57% di coloro che erano registrati per votare. Così che viene da chiedersi, ma quale è la percentuale della popolazione adulta che era registrata per il voto? L'ambasciatore Iracheno a Londra non è stato in grado di illuminarmi al riguardo. Infatti, come confermato da fonti delle Nazioni Unite, non è stato tenuto alcun registro o pubblicata alcuna lista degli elettori - tutto quello che ci viene raccontato è che circa 14 milioni di persone erano autorizzate a votare.

Per quanto riguarda gli Iracheni all'estero, questa comunità che conta fino a 4 milioni di esiliati (con forse poco più di 2 milioni di essi aventi il diritto di voto) ha finito per mettere assieme 280.000 persone registrate per il voto. Di queste, solo 265.000 hanno realmente votato.

Il sud Iracheno, più religioso di quanto non sia Baghdad, ha risposto positivamente alla posizione presa dal Grand Ayatollah Al-Sistani: mettere a nudo il bluff degli Stati Uniti e votare per una lista che si è proclamata essere ostile all'occupazione. I sostenitori di Sistani hanno dichiarato che il voto di Domenica è stato il primo passo per cacciare fuori dal paese gli occupanti. Durante i prossimi mesi queste dichiarazioni verranno messe a dura prova. Nel frattempo il movimento popolare di Moqtada Al-Sadr, che ha rifiutato le elezioni definendole una finzione, è probabile che faccia ritorno alla propria aperta resistenza all'occupazione.

Il grande voto nel Kurdistan riflette soprattutto la richiesta della gente Curda per la autodeterminazione nazionale. La amministrazione degli Stati Uniti fino ad ora è riuscita a tenere a bada queste pressioni. La recente proposta avanzata da Henry Kissinger di dividere l'Iraq in tre differenti stati riflette uno spostamento importante fra le figure più influenti negli Stati Uniti che, guidati da Kissinger come Segretario di Stato, avevano abbandonato i Curdi negli anni 70 e agito come intermediari in un affare fra Saddam e lo Shah dell'Iran.

Domenica scorsa George Bush e Tony Blair hanno fatto discorsi eroici con i quali hanno insinuato che gli Iracheni hanno votato per approvare l'occupazione. Coloro che insistono che gli Stati Uniti sono disperatamente alla ricerca di una uscita strategica dall'Iraq, stanno interpretando erroneamente le loro intenzioni. I fatti concreti, compresa la costruzione di enormi basi militari in Iraq, indicano che gli Stati Uniti stanno dandosi da fare per installare e sostenere un regime fantoccio di lunga durata. Per questo motivo, la presenza militare guidata dagli Stati Uniti continuerà, con tutto ciò che questo richieda in termini di massacro e distruzione.

Nella rincorsa alle elezioni, gran parte dei media occidentali si sono dati da fare per presentarle come se fossero un duello alla 'mezzogiorno di fuoco' fra il terrorista Zarqawi e la gente Irachena, con le forze di occupazione a fare del loro meglio per permettere alla gente di sconfiggere il diabolico assassino Giordano con una gamba sola. In realtà, la violenza settaria nello stile di Zarqawi non è solo condannata dagli Iracheni attraverso tutto lo spettro politico, compresi i sostenitori della resistenza, ma è ampiamente vista come un utile strumento verso il quale le autorità di occupazione chiudono un occhio. Tali interpretazioni vengono rifiutate dagli stranieri, ma il record di John Negroponte, l'ambasciatore degli Stati Uniti a Baghdad, nel sostegno a gruppi dediti al terrore nell'America Centrale durante gli anni 80 ha fornito ampio credito a questo tipo di timori, come hanno poi fatto i reportage di Seymour Hersh sulle squadre assassine del Pentagono e sull'entusiasmo per "l'opzione El Salvador".

Un'analisi onesta della mappa sociale e politica dell'Iraq rivela che gli Iracheni sono sempre più uniti nella loro determinazione a porre fine a questa occupazione. Sia che abbiano partecipato o che abbiano boicottato l'esercitazione di Domenica scorsa, questo legame politico presto si riaffermerà - tanto come fece in Vietnam - malgrado le differenze tattiche e malgrado i tentativi dell'occupazione degli Stati Uniti di dominare gli Iracheni infiammando divisioni settarie ed etniche.

Sami Ramadani è un rifugiato politico del precedente regime di Saddam Hussein ed è un docente universitario all'Università Metropolitana di Londra.

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