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Autore Il politicamente corretto uccide
ipergiorg

Reg.: 08 Giu 2004
Messaggi: 10143
Da: CARBONERA (TV)
Inviato: 15-01-2005 13:11  
di Carlo Lottieri

Akinyi June Arunga è una ventitreenne africana, del Kenya, che studia diritto a Londra, all’università di Buckingham. Ma da qualche tempo è ugualmente una ragazza che milita con straordinaria decisione per un’Africa basata sul mercato, la proprietà, la globalizzazione. Autrice di un film-documentario della Bbc (“Il sentiero del diavolo”) con cui ha illustrato le sue tesi “controcorrente”, Arunga è stata di recente ospite di un seminario dell’Istituto Bruno Leoni, a Milano. Dopo quell’incontro l’abbiamo intervistata per comprendere il punto di vista di una giovane che la stampa italiana ha già ribattezzato “l’anti Naomi Klein”.

Qual è, a Suo avviso, il principale problema dell’Africa di oggi?

Credo sia l’assenza di effettivi diritti di proprietà. Quasi ovunque gli Stati possiedono la terra di cui gli individui sono solo gli affittuari. Trattandosi di economie al 70% basate sull’agricoltura, nessuno fa significativi investimenti per migliorare la produttività della terra, ottenendo mutui ipotecari per comprare trattori o migliorare l’irrigazione. Niente di ciò viene fatto perché in ogni momento il governo può riprendersi i campi.

Qualcosa di simile vale anche la pesca, mi pare.

È così. Poiché manca un ordine istituzionale che assicuri ai pescatori diritti di proprietà trasferibili in forma di quote (tali da creare un interesse alla conservazione del capitale ittico), nessuno investe in strutture per una pesca in larga scala, dato che tutto questo è proibito con l’argomento che con uno sfruttamento simile i pesci sarebbero presto sterminati.

Ma quali sono, a Suo parere, le più gravi conseguenze di questa debolezza dei diritti di proprietà in Africa?

Il principale risultato è che l’economia del continente è bloccata, senza incentivi per l’investimento, e se anche qualcuno ha un’idea geniale e potrebbe pure trovare i soldi, egli non è motivato a mettere a frutto la sua intuizione (poiché non è certo di poterne godere, in futuro, i benefici). Per tale motivo non vi sono investimenti in fognature, elettrificazione e canali d’acqua, quelle infrastrutture a rete – insomma – che permettono ad una società di farsi commerciale e quindi vitale. Un’altra esigenza fondamentale è quella di avere corti indipendenti che possano rendere effettivi i diritti, assicurando il rispetto dei contratti, in modo tale che gli uomini politici e i loro amici non possano prendere ogni cosa e portarsela via.

Oltre ai diritti di proprietà, quali altre libertà mancano in Africa?

Un’assenza gravissima è quella della libertà di movimento. Da noi vi sono burocrazie corrotte che traggono il loro potere dalla facoltà di attribuire passaporti, e ciò è tanto più importante perché la gente ne ha bisogno per vendere i propri prodotti nei paesi confinanti. I governi africani hanno irrigidito con zelo i confini coloniali, ostacolando l’attività economica e creando problemi alla creazione di ricchezza e allo scambio di idee.

E cosa dire in merito allo spirito imprenditoriale?

È ostacolato dal fatto che per finanziare i loro progetti gli Stati tendono ad assumere politiche inflazionistiche, emettendo una gran massa di valuta. Oltre a ciò essi impongono pesanti restrizioni agli affari: dazi sulle importazioni e imposte molto alte. In tale situazione, l’iniziativa privata è soffocata e gli uomini politici (grazie alla corruzione) sono i soli ad arricchirsi. Al punto che ognuno vuole entrare nei partiti o in qualche Ong, dato che è il modo più veloce per fare soldi.

Molti ritengono che le economie deboli dei paesi sottosviluppati debbano difendersi dalla globalizzazione occidentale e dalla competizione internazionale. Perché Lei rigetta questa idea?

Fin dai tempi più remoti gli esseri umani hanno imparato uno dall’altro, percorrendo anche grandi distanze per conoscere nuove culture, incontrare partner commerciali, apprendere migliori forme di produzione. In tal modo essi hanno costruito il loro benessere. I politici che pretendono di sostituirsi alle decisioni di centinaia di milioni di africani stanno combattendo una battaglia perdente, perché molti da noi sono disposti a morire pur di andare in altri paesi, se ciò è necessario per avere una vita migliore e darla ai propri figli. Perché non si lascia che idee, informazioni, prodotti, servizi e investimenti possano girare per il mondo? Questa libertà produrrebbe la piena disponibilità dei prodotti e delle tecnologie che gli uomini giudicano utili. La creatività umana potrebbe solo trarne beneficio e molte meno persone, per giunta, morirebbero per malattie che possono essere evitate e curate.

Nel Suo documentario si mostrano gli effetti positivi della presenza in Africa delle imprese straniere. Cosa può dire, al riguardo, ai movimenti occidentali no global?

In primo luogo, dovrebbero evitare di pensare che se qualcuno è povero questo significa che è ottuso. Dovrebbero ascoltare le opinioni dei cosiddetti “poveri” e non ritenere di saper ciò che va bene al mondo intero. Essi non vivono nel mondo non globalizzato, portando acqua e legna da ardere sulla testa per molti chilometri, cucinando in capanne piene di fumo, sbriciolando mais e miglio con le pietre, morendo di fame se non piove, e tutto questo solo perché mancano moderne tecnologie, e non puoi andare a scuola e permetterti il lusso di competere con i bambini del mondo globalizzato.

In Occidente è attiva da tempo un’ampia campagna volta a raccogliere denaro in favore dell’Africa e a cancellare il debito. Cosa ne pensa?

Non sono contro la carità, ma non vedo i benefici delle politiche di aiuto; al contrario, tutti noi percepiamo immediatamente i benefici che milioni di persone ricevono dal fatto di avere automobili, cellulari e trattori (di cui si prendono cura) nel momento in cui essi se li comprano da soli. A quel punto ne capiscono anche il valore. La gente che conosco ha essenzialmente bisogno di essere lasciata in pace da politici prepotenti, in modo da poter comprare dai fornitori più economici: ma ciò che può essere ottenuto solo grazie alla competizione di mercato.

Se non avete bisogno di soldi caduti dal cielo, di cosa avete bisogno, allora?

Abbiamo bisogno di istituzioni: abbiamo bisogno della possibilità di iniziare un’attività senza essere ostacolati dallo Stato, e tenere i nostri profitti per acquisire istruzione, salute e ciò che serve alle nostre imprese. Abbiamo anche bisogno di una moneta stabile, in modo tale che il frutto del lavoro non svanisca nel corso di una notte. C’è necessità, infine, del diritto di muoversi e andare a fare affari con chiunque lo si voglia.

Ma ci sono paesi dell’Africa nera che si sono un po’ più aperti al mondo esterno? E quali risultati si vedono?

Ce ne sono, anche se la situazione generale resta comunque abbastanza triste. Mi piace citare, ad ogni modo, Botswana e Mauritius, dove una maggiore disponibilità ad accettare il confronto e il mercato sono evidenti. E bisogna anche dire che, non a caso, essi godono di standard di vita che sono superiori alla media del continente.

L'Indipendente
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Spock: We must acknowledge once and for all that the purpose of diplomacy is to prolong a crisis.

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