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Autore Osservazione personale
Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 19-10-2004 16:49  
quote:
In data 2004-10-19 16:41, Tenenbaum scrive:


ma quale legge di mercato
ma quale profitto
aggiornati
ormai il profitto , salvo le teorie puramente matematiche, non è più l'unico fine dell'impresa
roba vecchia

l'azienda non è un'entità astratta
è un'organizzazione di persone
non è profitto




Quale sarebbe allora il fine dell'impresa,oltre al profitto,naturalmente?
Cosa intendi per organizzazione di persone?
E' un concetto un po' vago...

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Tenenbaum

Reg.: 29 Dic 2003
Messaggi: 10848
Da: cagliari (CA)
Inviato: 19-10-2004 17:23  
scrivendo su google
"impresa profitto"

esce da sola la parola ETICA (proprio perchè è attuale la questione)

il primo link è anche casualmente carino perchè vi sono riferimenti di economia politica e quindi di teorie economiche

per quanto mi riguarda, e purtroppo non mi ricordo bene, ad una lezione di managment era uscito fuori il discorso sul fine dell'impresa e delle nuove teorie che si erano susseguite negli ultimi vent'anni

prima andavano per la maggiore quelle americane, poi i giapponesi hanno fatto scuola e comunque tutti i grandi cambiamenti ereditati dagli anni 80 hanno portato a rivedere il ruolo e la funzione dell'impresa nella società

è chiaro che a fine mese si deve chiudere con utile altrimenti si torna tutti a casa

ma ciò che importa è COME è è stato raggiunto quell'utile

l'impresa per avere un futuro si deve integrare con la società, non la deve sfruttare


Etica e profitto d'impresa
di Amedeo Amato

Una delle questioni centrali che si pongono nell’etica dell’economia riguarda la massimizzazione del profitto quale (unico) obbiettivo dell’agire d’impresa. Tale questione, spesso formulata nei termini molto generali adesso utilizzati, ha in realtà molteplici sfaccettature. Essa può essere specificata in diversi modi a seconda delle risposte che si forniscono alle seguenti domande, ciascuna delle quali implicherebbe una trattazione a sé:
- chi ritiene (o, al contrario, deplora) che obbiettivo dell’impresa debba essere la massimizzazione del profitto fa riferimento al profitto di breve o al profitto di lungo periodo? La questione è importante in quanto i comportamenti corrispondenti all’uno o all’altro obbiettivo possono essere molto diversi;
- a che cosa ci si riferisce quando si afferma che l’obbiettivo dell’impresa deve (o non deve) essere la massimizzazione del profitto? Ai comportamenti dei manager, ai comportamenti dei lavoratori, alle deliberazioni degli azionisti, alle norme stabilite dai regolatori?
- quali altri obbiettivi dovrebbero eventualmente aggiungersi - e con quali pesi - all’obbiettivo della massimizzazione del profitto?
Il problema che consideriamo in questa occasione è limitato alla questione seguente: debbono i manager conformare la loro azione all’obbiettivo della massimizzazione del profitto di lungo periodo nel rispetto, ovviamente, delle norme vigenti? Affronteremo il problema non con un approccio puramente “deontologico”, vale a dire attribuendo rilievo solo all’azione in sé, ma in una logica “consequenzialista”, considerando cioè le conseguenze dei comportamenti.

Un primo approccio al problema, più “classico” (più esattamente “neoclassico”), ma attualmente minoritario, ritiene eticamente valido l’obbiettivo della massimizzazione del profitto sulla base del cosiddetto “teorema fondamentale dell’economia del benessere”. Tale teorema dimostra come, in un sistema di concorrenza perfetta e sotto certe condizioni, tra le quali segnaliamo l’assenza di esternalità (di cui parleremo più avanti), se ciascuna impresa persegue l’obbiettivo della massimizzazione del profitto si realizza uno stato di “ottimo paretiano”, intendendo con questo termine una situazione in cui ciascun individuo raggiunge il massimo di benessere compatibile con il benessere degli altri individui (in altri termini: una situazione nella quale non è possibile ulteriormente aumentare il benessere di un individuo senza ridurre il benessere di un altro individuo). In questo senso la massimizzazione del profitto risulta attraente non solo nell’interesse della proprietà dell’impresa in questione ma per l’intera collettività. Molti autori ritengono (forse in modo non del tutto corretto) che anticipasse in qualche modo il teorema in questione la nota argomentazione di Adamo Smith (1776): “Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro desinare, ma dalla considerazione che questi hanno per il proprio interesse personale. Non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro egoismo, e ad essi parliamo dei loro vantaggi e non delle nostre necessità”.

L’utilizzo del “teorema fondamentale dell’economia del benessere” quale elemento fondante dell’obbiettivo della massimizzazione del profitto presenta però (almeno) tre importanti aree di criticità. Una prima criticità dipende dal fatto che nella realtà i mercati si allontanano dalla concorrenza perfetta. In questa situazione (mercati oligopolistici o monopolistici) la massimizzazione del profitto non dà luogo ad esiti di ottimalità paretiana. In secondo luogo va tenuto presente che frequentemente sussistono esternalità (positive o negative). Si pensi ad una attività inquinante: in questo caso il profitto d’impresa non rappresenta una misura del contributo che l’attività fornisce alla collettività (anche) perché è “al lordo” di un danno che non è contabilizzato tra i costi dell’impresa. In queste situazioni comportamenti tesi alla massimizzazione del profitto possono dar luogo a condizioni di (secondo) ottimo solamente sotto una serie di condizioni ulteriormente restrittive. In terzo luogo va sottoposto a scrutinio il concetto stesso di ottimalità paretiana (raggiungibile attraverso la massimizzazione dei profitti): esso riguarda solo uno stato di efficienza produttiva e non di desiderabilità sotto l’aspetto distributivo in quanto esclude ogni discussione - n realtà eticamente rilevante - sul grado di disuguaglianza presente nella società. Uno stato di ottimo paretiano è compatibile con la presenza di un grado di disuguaglianza anche elevatissimo e situazioni di povertà anche diffuse e profonde.

Una diversa giustificazione, più diretta, dell’obbiettivo della massimizzazione del profitto si basa su una sorta di principio di “responsabilità”: i manager sono mandatari (diretti o indiretti) della proprietà e, in quanto tali, devono perseguire esclusivamente gli interessi della proprietà, ovviamente nel rispetto delle norme. Questa posizione non nega che nell’impresa siano in gioco molti altri interessi, quali quelli dei lavoratori, dei creditori, dell’ambiente circostante, degli altri stakeholders in generale. Tuttavia argomenta che non compete ai manager perseguire la tutela di questi interessi: essa spetta ai sindacati, al regolatore e così via. La dialettica tra soggetti portatori di interessi diversi porterà ad esiti in qualche modo “di equilibrio”.

L’idea alternativa sotto quest’aspetto è, ovviamente, quella per la quale tutte le rappresentanze hanno l’obbligo di farsi unitariamente carico di tutti gli interessi in gioco. La preferenza per questo approccio (espressa ad esempio da Sen, 1991) si basa su taluni risultati della teoria dei giochi per i quali le strategie cooperative possono risultare più efficienti - nel perseguimento di una pluralità di obbiettivi - rispetto a strategie di tipo non cooperativo (anche se apre una serie di problemi connessi alla determinazione dei pesi da attribuire a ciascun interesse nella funzione obbiettivo da massimizzare). Nella pratica va però tenuto presente che i sistemi nei quali i mandatari non sono portatori di specifici interessi di parte presentano una forte attenuazione della possibilità di monitoraggio dei singoli comportamenti, monitoraggio che l’esperienza mostra essere cruciale anche per la garanzia di standard etici adeguati. A nostro avviso occorre quindi chiedersi se l’assenza di uno specifico mandato a difendere gli interessi di parte sia effettivamente eticamente superiore, così come potrebbe presumersi in prima approssimazione, o se non sia necessario, prima di pronunciarsi in tal senso, anche un esame delle specifiche implicanze operative, nell’approccio di etica consequenzialista cui abbiamo fatto riferimento all’inizio.

Una controprova “esemplificativa” alquanto impressionante delle esigenze di cautela che occorre avere presente nel sostituire l’obbiettivo della massimizzazione del profitto con obbiettivi di ordine più generale si ottiene rivisitando i più importanti contributi scientifici a suo tempo prodotti sulle cause del “successo giapponese” negli anni ’80 (Morishima, 1982; Aoki 1985; Dore, 1989; Sen, 1991). Tutti facevano risalire gran parte di tale successo all’approccio di tipo cooperativo adottato nei processi decisionali aziendali, approccio ritenuto al tempo stesso più efficiente ed eticamente superiore. “Si potrebbe sostenere - scriveva Sen (1991) - che proprio il rifiuto della distinzione tra azionisti e altri operatori coinvolti nell’attività dell’impresa, e l’adozione di una visione più integrata dell’impresa come “grande famiglia” siano stati il punto di forza dell’efficienza cooperativa che l’industria giapponese ha teso a realizzare”. Questa interpretazione sembra oggi doversi drammaticamente capovolgere: la lunghissima crisi dell’economia giapponese appare in gran parte attribuibile proprio a quei processi decisionali che, per l’essere di tipo (formalmente) cooperativo, risultano meno controllabili e quindi più esposti a rischi di degenerazione verso comportamenti collusivi al tempo stesso poco efficienti ed eticamente negativi.

In conclusione a noi sembra che il problema della validità etica dei comportamenti dei manager ispirati all’obbiettivo (esclusivo) della massimizzazione del profitto appaia irrisolvibile sulla base di principi generali. Non esistono elementi teorici robusti a sostegno dell’una o dell’altra ipotesi. L’osservazione empirica, a sua volta, suggerisce a nostro avviso - in un contesto di etica consequenziale - una risposta tendenzialmente favorevole (contrariamente, forse, all’intuizione a priori), risposta peraltro condizionata all’analisi dei risultati ottenibili caso per caso. La “composizione” di tutti gli interessi che gravitano nell’impresa e attorno all’impresa sembra quindi competere soprattutto al legislatore, che deve porsi sia obbiettivi di efficienza del sistema produttivo in genere sia obbiettivi distributivi (equità), nonché a codici di autoregolamentazione che, essendo approvati ex ante da tutti gli operatori più importanti, danno una certa garanzia di non essere distorsivi della concorrenza. Ci si consenta infine una postilla finale. Gli scandali finanziari emersi negli ultimi anni (… da Enron in poi) hanno suscitato un ampio dibattito sulla eticità dell’obbiettivo della massimizzazione del profitto da parte dei manager. è nostra convinzione che tale dibattito sia del tutto incongruo rispetto agli eventi considerati giacché, in generale, i comportamenti devianti dei manager non derivavano dal perseguimento esasperato del profitto d’impresa ma, al contrario, dal tradimento di tale obbiettivo a favore dell’interesse strettamente personale.

*Direttore
Dipartimento di Economia e Metodi quantitativi Università degli Studi di Genova


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Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
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Da: milano (MI)
Inviato: 19-10-2004 21:35  
Eh, ma quante parole vuote!
Ma il profitto d'impresa a chi è destinato?
A tutti i lavoratori dell'impresa o solo a chi la dirige? Ovviamente solo al gruppo dirigente,che persegue non obiettivi sociali(o etici) e volti ad agevolare l'intera comunità ma solo al proprio tornaconto personale,e questo smentisce l'ultima comicissima frase di questo economista da strapazzo a proposito del caso Enron e simili...
Del resto non ci vuole un genio, basta osservare il mondo di oggi: le maggiori imprese tendono sempre di più al profitto a lungo termine,trasferiscono il lavoro in paesi dove la manodopera costa 1/1000 di quella nostrana, sfruttano gli operai, distruggono l'ambiente ,dirigono la politica dei paesi attraverso il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale,mettono il copyright su qualsiasi prodotto destinato a uso sociale,come i farmaci, gli Ogm ,dirigono le economie dei paesi del terzo mondo le quali producono ben di prima necessità per dar da mangiare al bestiame che finisce nei MacDonald's,non c'è nessuna grande impresa che si comporti eticamente, del resto perchè mai dovrebbe farlo?
Le multinazionali sono società a scopo di lucro,non organizzazioni umanitarie,il loro fine non tende al sociale ma agli interessi particolari di una ristrettissima élite che non ha alcun interesse a promuovere le cause del popolino e a mettere in discussione il proprio potere.

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Tenenbaum

Reg.: 29 Dic 2003
Messaggi: 10848
Da: cagliari (CA)
Inviato: 19-10-2004 22:14  
beh piuttosto comico anche il tuo esempio della mcdonald quando è risaputo che la carne è prodotta nei singoli paesi

molto economico spedire hamburger in giro per il mondo !!!!!!!

e poi non vi è proprio nulla di comico in ciò che dice l'economista da strapazzo

quanto banale la tua spiegazione sul trasferimento delle imprese
uno perchè parli solo ed esclusivamente di multinazionali, esistono solo quelle ?

in secondo luogo perchè il problema è assai più complicato in quanto vi sono numerosi aspetti che devono essere presi in considerazione

in primo luogo quello fiscale

non c'è bisogno di essere la Cina la Bulgaria per attirare imprese straniere (multinazionali così sei più contento)
l'Irlanda è l'esempio lampante di come si possa trasformare in pochi anni da una nazione mediamente pezzente in benestante

quello che è grave non è tanto il fatto che le aziende si trasferiscano in Polonia quanto che in quei paesi non vengano garantiti i medesimi diritti dei nostri lavoratori

ma questo è un problema che non riguarda la sola azienda ma l'intera società e quindi nazione in cui si stabilisce

bisogna quindi lavorare per rendere omogenee le regole e i diritti dei lavoratori in tutto il mondo
e prima o poi accadrà perchè la gente non è fessa per troppo tempo

e poi in terzo luogo il futuro è proprio l'opposto di quello che descrivi
un'azienda che vive fuori dalle regole , comprese MULTINAZIONALI, è destinata a morire (vedi Enron)

in ultimo se tu hai una visione del mondo tipo "mia casa , tua casa" dividiamo tutto ciò che abbiamo in parti uguali, beh allora è inutile lamentarsi perchè non ti andrà mai bene niente e saranno tutti dei pirla per te
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Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 19-10-2004 23:20  
quote:
In data 2004-10-19 22:14, Tenenbaum scrive:
beh piuttosto comico anche il tuo esempio della mcdonald quando è risaputo che la carne è prodotta nei singoli paesi

molto economico spedire hamburger in giro per il mondo !!!!!!!




Un po' di informazione su cosa voglia dire consumare hamburgher in queste catene multinazionali,by Jeremy Rifkin,Presidente della Foundation on Economic Trands di Washington,USA.

"Dal 1960, più del 25% delle foreste dell'America centrale è stato abbattuto, per fare posto a pascoli per mandrie di bovini[...] Mentre i consumatori americani risparmiavano, in media, quasi un quarto di dollaro per ogni hamburger prodotto con carne importata dal Centroamerica, in quella regione il costo per l'ambiente era elevatissimo e il danno irreversibile[...]
" La creazione di un vasto complesso bovino centro-americano ha arricchito una ristretta elite e impoverito la maggioranza dei piccoli agricoltori, diffondendo disagio sociale e dissenso politico; più della metà delle famiglie rurali del Centroamerica - 35 milioni di persone - non possiede terra, o non ne possiede a sufficienza per il proprio sostentamento, mentre l'aristocrazia terriera e le società multinazionali continuano ad appropriarsi di ogni ettaro disponibile, trasformandolo in pascolo[...]
" Il processo di deforestazione, concentrazione della proprietà terriera e dislocazione delle popolazioni rurali locali che ha interessato tutta l'America Latina, aveva lo scopo di trasformare un intero continente in un pascolo al servizio della dieta carnea dei ricchi latinoamericani, europei, americani e giapponesi[...]
" Fra il 1966 e il 1983, quasi 100.000 chilometri quadrati di foresta amazzonica sono stati abbattuti in nome dello sviluppo economico. Il 38% della distruzione di foresta pluviale in quel periodo è attribuibile alla creazione di allevamenti bovini su larga scala. Oggi, nelle aree un tempo coperte dalla foresta amazzonica, pascolano milioni di capi di bestiame. Ma quella terra non è affatto adatta al pascolo: nell'ecosistema tropicale lo stato superficiale del suolo è estremamente sottile e fragile, e contiene scarso nutrimento. Dopo solo pochi anni di pascolo - in genere da tre a cinque - il suolo diventa sterile e gli allevatori devono abbattere un'altra sezione di foresta per spostarvi le mandrie" (affinché torni di nuovo fertile possono passare dai 200 ai 1000 anni!).

Da notare che gran parte dei farmaci e dei medicamenti che utilizziamo tutti noi, vengono prelevati dalle numerosissime e preziosissime piante della foresta amazzonica.
"Ciascuno di noi - afferma Rifkin - è in qualche misura, responsabile della perdita della foresta pluviale primordiale. Per esempio si stima che ogni hamburger ricavato da carni provenienti dal Centro e Sud America, comporti la distruzione di circa 75 chilogrammi di forme viventi".
Tutto ciò ha anche un'altra conseguenza: la desertificazione, uno dei più gravi problemi attuali del nostro pianeta, che assume proporzioni enormi proprio in America e in Africa. Oggi più del 50% della superficie dell'Africa orientale è riservata al pascolo, quando l'uso dell'acqua e delle terre fertili per produrre cereali destinati agli uomini sarebbe la cosa più intelligente da fare. Eppure gli organismi internazionali, compresa la FAO, continuano a indirizzare l'Africa in questo senso e ad elargire fondi per incentivare l'allevamento. In questo modo l'Africa diventa una terra sempre più arida.
"Ogni anno nel mondo fra 40 e 60 milioni di persone muoiono di fame o di patologie legate alla malnutrizione. Il pedaggio più severo viene pagato dai bambini. La malnutrizione affligge quasi il 40% dei bambini nati nei paesi in via di sviluppo[...]
" Mentre milioni di adolescenti americani combattono contro il peso in eccesso, spendendo tempo, denaro ed energie emotive allo scopo di dimagrire, i bambini di altri paesi non possono crescere, minati nel corpo da un lento deperimento e da malattie parassitiche e opportunistiche, impediti nello sviluppo cerebrale dall'insufficienza di nutrimento"[...]
"E' stata proprio la decisione di sfruttare la terra allo scopo di creare una catena alimentare artificiale - la più iniqua della storia - a gettare nella più nera miseria centinaia di milioni di persone sparse ai quattro angoli del globo"[...]
Oggi il 70% dei cereali prodotti negli USA viene utilizzato per l'alimentazione animale. Sfortunatamente i bovini non sono "convertitori efficaci di energia": un bovino produce meno di 50 kg di proteine consumando più di 790 kg di proteine vegetali. Se questi fossero destinati direttamente all'alimentazione umana procurerebbero una ciotola di cibo per ogni essere umano per un anno intero. Invece vengono usati per assicurare carne ai più ricchi del pianeta che, come l'americano medio, consumano quotidianamente "il doppio delle proteine raccomandate dalla FAO: molto più di quanto il corpo possa assorbire" e per questo si ammalano. Chi muore di fame e chi muore per le patologie del benessere.

Non solo: l'allevamento degli animali e la loro macellazione provocano danni ambientali incalcolabili, a causa dell'uso di pesticidi, concimi chimici e processo di lavorazione.
"Oggi milioni di americani, europei e giapponesi consumano hamburger, arrosti e bistecche in quantità incalcolabili, ignari dell'effetto che le loro abitudini alimentari hanno sulla biosfera e sulla sopravvivenza della vita nel pianeta. Ogni chilogrammo di carne bovina è prodotto a spese di una foresta bruciata, di un territorio eroso, di una campo isterilito, di un fiume disseccato, del rilascio nell'atmosfera di milioni di tonnellate di anidride carbonica, monossido d'azoto e metano".
Chiunque mangi carne ha il suo ruolo in tutto questo. Rifkin auspica, ed io con lui, che l'essere umano prenda coscienza dell'effetto delle sue azioni sul pianeta, soprattutto che sviluppi quella coscienza ecologica che è alla base di ogni comportamento sano ed equo.


quote:


e poi non vi è proprio nulla di comico in ciò che dice l'economista da strapazzo

quanto banale la tua spiegazione sul trasferimento delle imprese
uno perchè parli solo ed esclusivamente di multinazionali, esistono solo quelle ?


Perchè si parla di profitto e le multinazionali sono le più accanite imprese volte al profitto.



quote:
in secondo luogo perchè il problema è assai più complicato in quanto vi sono numerosi aspetti che devono essere presi in considerazione

in primo luogo quello fiscale

non c'è bisogno di essere la Cina la Bulgaria per attirare imprese straniere (multinazionali così sei più contento)
l'Irlanda è l'esempio lampante di come si possa trasformare in pochi anni da una nazione mediamente pezzente in benestante



Ma tu stai paragonando la Bulgaria all'Irlanda?
Ma che razza di paragone è mai questo? Stai scherzando?

quote:
quello che è grave non è tanto il fatto che le aziende si trasferiscano in Polonia quanto che in quei paesi non vengano garantiti i medesimi diritti dei nostri lavoratori

ma questo è un problema che non riguarda la sola azienda ma l'intera società e quindi nazione in cui si stabilisce



Hai dimenticato un piccolo problema: per trasferirsi, la multinazionale deve licenziare i suoi operai nel territorio nazionale,con conseguente degrado delle città a causa di migliaia di lavoratori che si trovano sul lastrico solo perchè qualcuno vuole fare ancora più soldi.



quote:
bisogna quindi lavorare per rendere omogenee le regole e i diritti dei lavoratori in tutto il mondo
e prima o poi accadrà perchè la gente non è fessa per troppo tempo



e poi in terzo luogo il futuro è proprio l'opposto di quello che descrivi
un'azienda che vive fuori dalle regole , comprese MULTINAZIONALI, è destinata a morire (vedi Enron)



La Enron non è fallita perchè non era eticamente a posto,a semplicemente perchè ha fatto un crack economico.

quote:
in ultimo se tu hai una visione del mondo tipo "mia casa , tua casa" dividiamo tutto ciò che abbiamo in parti uguali, beh allora è inutile lamentarsi perchè non ti andrà mai bene niente e saranno tutti dei pirla per te




Ma questo è il tuo pensiero o quello che dovrei pensare io?

[ Questo messaggio è stato modificato da: Quilty il 19-10-2004 alle 23:22 ]

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riddick

Reg.: 14 Giu 2003
Messaggi: 3018
Da: san giorgio in bosco (PD)
Inviato: 20-10-2004 12:08  
quote:
In data 2004-10-19 21:35, Quilty scrive:
Eh, ma quante parole vuote!
Ma il profitto d'impresa a chi è destinato?
A tutti i lavoratori dell'impresa o solo a chi la dirige? Ovviamente solo al gruppo dirigente,che persegue non obiettivi sociali(o etici) e volti ad agevolare l'intera comunità ma solo al proprio tornaconto personale,e questo smentisce l'ultima comicissima frase di questo economista da strapazzo a proposito del caso Enron e simili...
Del resto non ci vuole un genio, basta osservare il mondo di oggi: le maggiori imprese tendono sempre di più al profitto a lungo termine,trasferiscono il lavoro in paesi dove la manodopera costa 1/1000 di quella nostrana, sfruttano gli operai, distruggono l'ambiente ,dirigono la politica dei paesi attraverso il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale,mettono il copyright su qualsiasi prodotto destinato a uso sociale,come i farmaci, gli Ogm ,dirigono le economie dei paesi del terzo mondo le quali producono ben di prima necessità per dar da mangiare al bestiame che finisce nei MacDonald's,non c'è nessuna grande impresa che si comporti eticamente, del resto perchè mai dovrebbe farlo?
Le multinazionali sono società a scopo di lucro,non organizzazioni umanitarie,il loro fine non tende al sociale ma agli interessi particolari di una ristrettissima élite che non ha alcun interesse a promuovere le cause del popolino e a mettere in discussione il proprio potere.


uno dei principi del wto è proprio che il copyright vale tanto quanto la carta da cesso dove questo possa preservare la vita umana, vedi il caso del sud africa e dei vaccini per l'aids.
recenti proposte tutele minime per i lavoratori ed eventuali sono state bloccate proprio da paesi in via di sviluppo
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M.O.I.G.E. al rogo

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Tenenbaum

Reg.: 29 Dic 2003
Messaggi: 10848
Da: cagliari (CA)
Inviato: 27-10-2004 13:24  
quote:
In data 2004-10-19 23:20, Quilty scrive:

Un po' di informazione su cosa voglia dire consumare hamburgher in queste catene multinazionali,by Jeremy Rifkin,Presidente della Foundation on Economic Trands di Washington,USA.

[i] "Dal 1960, più del 25% delle foreste dell'America centrale è stato abbattuto, per fare posto a pascoli per mandrie di bovini[...] Mentre i consumatori americani risparmiavano, in media, quasi un quarto di dollaro per ogni hamburger prodotto con carne importata dal Centroamerica, in quella regione il costo per l'ambiente era elevatissimo e il danno irreversibile[...]
" La creazione di un vasto complesso bovino centro-americano ha arricchito una ristretta elite e impoverito la maggioranza dei piccoli agricoltori, diffondendo disagio sociale e dissenso politico; più della metà delle famiglie rurali del Centroamerica - 35 milioni di persone - non possiede terra, o non ne possiede a sufficienza per il proprio sostentamento, mentre l'aristocrazia terriera e le società multinazionali continuano ad appropriarsi di ogni ettaro disponibile, trasformandolo in pascolo[...]
" Il processo di deforestazione, concentrazione della proprietà terriera e dislocazione delle popolazioni rurali locali che ha interessato tutta l'America Latina, aveva lo scopo di trasformare un intero continente in un pascolo al servizio della dieta carnea dei ricchi latinoamericani, europei, americani e giapponesi[...]
" Fra il 1966 e il 1983, quasi 100.000 chilometri quadrati di foresta amazzonica sono stati abbattuti in nome dello sviluppo economico. Il 38% della distruzione di foresta pluviale in quel periodo è attribuibile alla creazione di allevamenti bovini su larga scala. Oggi, nelle aree un tempo coperte dalla foresta amazzonica, pascolano milioni di capi di bestiame. Ma quella terra non è affatto adatta al pascolo: nell'ecosistema tropicale lo stato superficiale del suolo è estremamente sottile e fragile, e contiene scarso nutrimento. Dopo solo pochi anni di pascolo - in genere da tre a cinque - il suolo diventa sterile e gli allevatori devono abbattere un'altra sezione di foresta per spostarvi le mandrie" (affinché torni di nuovo fertile possono passare dai 200 ai 1000 anni!).




questo è un vero colpo di classe

uno dei libri più ridicoli stampati nell'ultimo decennio
del 1992 o 93 se non erro

complimenti
grande controinformazione

per chi non lo sapesse l'idea fondante del libro è quella secondo la quale la bistecca di bovino uccidera il pianeta terra

ma non ho tempo
ci vuole una risposta adeguata
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Julian

Reg.: 27 Gen 2003
Messaggi: 6177
Da: Erbusco (BS)
Inviato: 29-10-2004 18:25  
Sì sì,credete pure alle buffonate sull'etica
che vi rifilano.Poi quando c'è da mettere l'elmetto per difendere questi grandi valori
non farete storie.Io non sono un operaio,
ma se lo fossi farei di tutto per evitare
ogni forma di sfruttamento.Ho letto(a scuola)
almeno 2-3 libri che espongono teorie simili
a quelle che riporta Tenebaum.SEmbra quasi che
il profitto sia un'invenzione dei comunisti.
Sembra che la sinistra debba trovare per forza
un motivo per attaccare i datori di lavoro.
Non è così.E ci sono decine di conflitti che
in questo momento ce lo stanno dimostrando.
A meno che si creda ancora che le guerre le
facciamo perchè i Troiani hanno rapito Elena,
o perchè i musulmani hanno calpestato le
terre sante.
_________________
Se nulla capivo, qui tu finalmente
nulla lasciavi germogliare sulla brulla,
paradossale, tra noi terra infondata,
dove sono i leoni, ammattiti e marroni
lasciando immaginare
la sposa occidentale.

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Tenenbaum

Reg.: 29 Dic 2003
Messaggi: 10848
Da: cagliari (CA)
Inviato: 29-10-2004 18:43  
quote:
In data 2004-10-29 18:25, Julian scrive:
Sì sì,credete pure alle buffonate sull'etica
che vi rifilano.Poi quando c'è da mettere l'elmetto per difendere questi grandi valori
non farete storie.Io non sono un operaio,
ma se lo fossi farei di tutto per evitare
ogni forma di sfruttamento.Ho letto(a scuola)
almeno 2-3 libri che espongono teorie simili
a quelle che riporta Tenebaum.SEmbra quasi che
il profitto sia un'invenzione dei comunisti.
Sembra che la sinistra debba trovare per forza
un motivo per attaccare i datori di lavoro.
Non è così.E ci sono decine di conflitti che
in questo momento ce lo stanno dimostrando.
A meno che si creda ancora che le guerre le
facciamo perchè i Troiani hanno rapito Elena,
o perchè i musulmani hanno calpestato le
terre sante.




scusa julian ma non travisare

il profitto è prima di tutto una formuletta matematica che si può complicare aumentando i fattori che la compongono ma essenzialemente è una banale sottrazione

ma se l'impresa (non entriamo nella definizione di impresa, per carità) la si identifica nella semplice formuletta si compie una vera e propria idiozia

a maggior ragione oggi in cui il mercato non ha più confini e poi non tanto per questo aspetto ma perchè l'impresa è , e qui devo per forza rifarmi a concetti universitari, un sistema complesso che interagisce con l'ambiente nel quale è inserita (che appunto oggi è più che mai fondamentale)

insomma per funzionare si devono soddisfare innumerevoli fattori di ogni genere
e per soddisfare non intendo il portafogli dell'imprenditore ma anche il guardiano della fabbrica piuttosto che l'adetto alla contabilità e colui che fa vivere l'azienda: il cliente

chi riduce il tutto al profitto massimizzato (cosa che ormai è dimostrata non significhi più un'emerita mazza se non da un punto di vista di economia - matematica) non dice niente

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