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Autore ebrei, da vittime a carnefici
Tenenbaum

Reg.: 29 Dic 2003
Messaggi: 10848
Da: cagliari (CA)
Inviato: 01-10-2004 16:42  
meno morti non sono FATTI per te ?
cosa sono opinioni personali ?

meno morti = FATTO

inoltre tu ti lamenti che io ti attribuisco i miei concetti a te (interlocutore)
a parte il fatto che trattasi di provocazione (difficile dacapire vero ....)
ma scusa ma ti sei mai letto ?
è quello che tu fai regolarmente con tutti

cos'è hai l'esclusiva ? posso comprare anche io i diritti ?

e quella che tu chiami fatti , cioè la sentenza DELLA CORTE dell'Aja ha ricevuto molte critiche in tutto il mondo , non è stata accolta unanimamente come positiva anche se tu vorresti far credere il contrario

E QUESTO PRIMA DI TUTTO PER RAGIONI DI CARATTERE GIURIDICO , che tu ovviamente ignori


porterò l'esempio del giudice israeliano (che tu ovviamnete considererai di parte) me che in realtà porta un approfondimento che va ben oltre le tue solite banali considerazioni che non vanno oltre il riportare un documento da leggere


lllegittima e infondata la sentenza dell'Aja
Dichiarazione del giudice Buergenthal
Testo integrale della Dichiarazione con cui il giudice Thomas Buergenthal ha motivato il suo (unico) voto contrario all’opinione emessa dalla Corte Internazionale dell’Aja il 9 luglio sulla barriera anti-terrorismo israeliana.

1. Poiché io credo che la Corte avrebbe dovuto esercitare il suo potere discrezionale e rifiutare di dare il parere consultivo richiesto, dissento dalla decisione di affrontare questo caso.
Il mio voto negativo in relazione ai punti seguenti della sentenza non deve essere interpretato come se riflettesse una mia opinione che la costruzione del muro da parte di Israele nei Territori Palestinesi Occupati non faccia sorgere domande serie sul piano della legge internazionale. Io credo che queste domande siano legittime e condivido molto di quanto scritto nell’ “Opinione” espressa dalla Corte.
Tuttavia sono costretto a votare contro la sentenza della Corte nel merito perché essa non aveva a sua disposizione elementi basati su fatti reali necessari per poter raggiungere la sua assoluta sentenza; perciò avrebbe dovuto declinare la richiesta di affrontare questo caso.
Sono giunto a questa conclusione guidato da quello che la Corte stessa aveva detto in “Sahara Occidentale”. In quel caso la Corte aveva messo in risalto che il punto critico per decidere se esercitare o no il suo potere decisionale in relazione all’eventualità’ di accettare una richiesta di parere consultivo era il fatto che la Corte “avesse abbastanza informazioni e prove tali da permettere di arrivare ad una conclusione giuridica su tutti i fatti sui quali è necessario fare chiarezza, per dare un’opinione in condizioni compatibili con il suo carattere giudiziario” (Sahara Occidentale, opinione consultiva, Rapporti I.C.J. 1975, pag. 28-29, paragrafo 46).
A mio giudizio, l’assenza in questo caso delle informazioni e delle prove necessari invalida la sentenza della Corte nel merito.

2. Condivido l’opinione della Corte che la legge umanitaria internazionale, inclusa la Quarta Convenzione di Ginevra, e tutte le leggi internazionali sui diritti umani siano applicabili al Territorio Palestinese Occupato, e che perciò debbano essere scrupolosamente rispettate da Israele. Condivido l’opinione che il muro stia causando sofferenze deplorevoli a molti Palestinesi che vivono in quel territorio. In relazione a questo, sono d’accordo sul fatto che i mezzi usati per difendersi dal terrorismo debbano essere conformi a tutte le regole applicabili della legge internazionale e che uno Stato che è vittima del terrorismo non possa difendersi da questo flagello ricorrendo a misure che la legge internazionale proibisce.

3. Può capitare, ed io sono pronto ad accettarlo, che dopo un’analisi accurata di tutti i fatti pertinenti si giunga alla conclusione che alcuni o anche tutti i segmenti del muro in corso di costruzione da parte di Israele nel Territorio Palestinese Occupato violino la legge internazionale (vedi para. 10 sotto). Ma raggiungere questa conclusione sul muro nel suo complesso senza avere a disposizione o senza cercare di reperire le prove concrete in relazione al problema del diritto di Israele all’autodifesa, alle sue necessità militari ed al bisogno di sicurezza, tenuto conto dei ripetuti attacchi terroristici mortali - provenienti dai Territori Palestinesi Occupati - nel cuore stesso di Israele, a cui Israele è stato e continua ad essere soggetto, non è motivato secondo il diritto. La natura di questi attacchi attraverso la Linea Verde ed il loro impatto su Israele e sulla sua popolazione non sono mai stati seriamente esaminati dalla Corte, ed il dossier fornito alla Corte dalle Nazioni Unite, sul quale la Corte ha basato in gran parte le sue conclusioni, tocca a malapena questo tema. Io non sto suggerendo che quest’esame avrebbe assolto Israele dall’accusa che il muro che sta costruendo violi la legge internazionale, sia in toto che in parte, ma affermo che senza quest’analisi le conclusioni raggiunte non hanno fondamento legale. A mio parere, le necessità umanitarie del popolo palestinese sarebbero state servite meglio se la Corte avesse tenuto conto di queste considerazioni, perché questo avrebbe dato all’ “Opinione” espressa la credibilità di cui credo difetti.

4. Quello che sto affermando vale sia per sentenza complessiva della Corte quando afferma che il muro nel suo insieme, nella misura in cui è costruito sul territorio Palestinese Occupato, viola la legge internazionale umanitaria e la legge internazionale sui diritti umani, sia per la parte della sentenza che afferma che la costruzione del muro “ostacola gravemente il diritto all’autodeterminazione del popolo Palestinese, ed è perciò una violazione dell’obbligo di Israele a rispettare tale diritto” (para. 122). Io sono d’accordo che il popolo Palestinese abbia diritto all’autodeterminazione e che questo debba essere pienamente protetto. Ma anche supponendo, senza necessariamente essere d’accordo, che questo diritto sia pertinente al caso che stiamo trattando e che venga violato, il diritto di Israele all’autodifesa, se applicabile ed invocato in modo legittimo, precluderebbe ciò nondimeno la possibilità di definire illegali questi atti. Vedi articolo 21 della Commissione Legislativa Internazionale che dichiara: “L’atto di uno Stato non può essere definito illegale se esso costituisce una misura legale di autodifesa presa in conformità alla Carta delle Nazioni Unite.”

5. Se il diritto di Israele all’autodifesa giuochi un ruolo nel caso in oggetto dipende, secondo me, da un’analisi della natura e della portata degli attacchi terroristici mortali provenienti dall’esterno della Linea Verde a cui lo Stato di Israele è stato sottoposto, e dalla misura in cui la costruzione del muro, nella sua totalità od in alcuni segmenti, sia una risposta necessaria e proporzionata al tipo di attacchi. Secondo la legge, a me non sembra inconcepibile che alcuni segmenti del muro costruito nei territori palestinesi rispondano a questi requisiti, ed altri no. Ma per raggiungere una conclusione in un senso o nell’altro bisogna esaminare i fatti correlati a quel problema specifico, in relazione a particolari segmenti del muro, alle loro necessità per la difesa ed alle considerazioni topografiche correlate.

Dal momento che la Corte non aveva a disposizione questi dati, è stata costretta ad adottare la conclusione secondo me discutibile sul piano legale che il diritto di autodifesa intrinseco e legittimo non si può applicare a questo caso. La Corte pone il problema in questi termini :

“ L’Articolo 51 della Carta… riconosce l’esistenza di un diritto intrinseco all’autodifesa nel caso di attacco armato di uno Stato contro un altro Stato. Tuttavia Israele non sostiene che gli attacchi contro di esso sono imputabili a uno stato straniero.

La Corte nota inoltre che Israele esercita il suo controllo sul Territorio Palestinese Occupato, e che, come Israele stesso dichiara, la minaccia che giustifica la costruzione del muro ha origine all’interno, e non all’esterno di tale territorio. La situazione perciò non è paragonabile a quella contemplata dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 1368 (2001) e 1373 (2001), e quindi Israele non può fare riferimento a quelle risoluzioni in appoggio alla sua rivendicazione di esercitare un diritto di autodifesa.

Quindi la Corte conclude che l’articolo 51 della Carta non ha rilevanza in questo caso” (Para. 139)

6. Questa conclusione presenta due problemi principali . Il primo è che la Carta delle Nazioni Unite, nell’affermare il diritto intrinseco all’autodifesa, non fa dipendere la possibilità di utilizzarlo dal fatto che l’attacco armato sia attuato un altro Stato, lasciando quindi in sospeso per il momento il problema se la Palestina, per quanto riguarda caso giuridico in esame, non debba essere, come non lo è di fatto, assimilata dalla Corte ad uno Stato. L’articolo 51 della Carta prevede che : “Niente nella presente Carta dovrebbe menomare il diritto intrinseco all’autodifesa individuale o collettiva se avviene un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite…”.
Inoltre, nella risoluzione citata dalla Corte, il Consiglio di Sicurezza ha detto molto chiaramente che “il terrorismo internazionale costituisce una minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionale, riaffermando” al tempo stesso “il diritto intrinseco all’autodifesa individuale o collettiva come riconosciuto dalla Carta delle Nazioni Unite e come ribadito nella risoluzione 1368 (2001)” (Risoluzione del Consiglio di sicurezza 1373 (2001)).
Nella sua risoluzione 1368 (2001), adottata il giorno dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti, il Consiglio di Sicurezza invoca il diritto all’autodifesa invitando la comunità internazionale a combattere contro il terrorismo.
In nessuna di questa risoluzioni il Consiglio di sicurezza ha limitato l’applicazione solo ad attacchi terroristici condotti da Stati, né questa limitazione era implicita nelle risoluzioni citate. In realtà, valeva il contrario (vedi Thomas Franck, “Terrorismo ed il diritto all’autodifesa” American Journal of International law, Vol 95, 2001, pp. 839-840)

In secondo luogo, Israele sostiene di avere diritto all’autodifesa contro gli attacchi terroristici che provengono dal di fuori della Linea Verde e sono diretti contro il suo territorio e che nel fare questo essa eserciti il suo diritto intrinseco all’autodifesa. Per valutare la correttezza di questa asserzione non è rilevante il fatto che si supponga che Israele eserciti il suo controllo sul Territorio Palestinese Occupato – qualsiasi cosa la parola “controllo” significhi considerati gli attacchi a cui Israele è sottoposta a partire da questo territorio – o che gli attacchi non abbiano origine al di fuori del territorio israeliano.
Nella misura in cui la Linea Verde è accettata dalla Corte come il limite che divide Israele dal Territorio Palestinese Occupato, gli attacchi contro Israele provengono da un territorio che non è parte dello stato di Israele. Perciò gli attacchi contro Israele provenienti dal territorio al di là della Linea Verde devono permetter ad Israele di esercitare il suo diritto di autodifesa contro di essi, purché le misure adottate siano consistenti con l’esercizio legittimo di questo diritto. Per giudicare questo, cioè per valutare se la costruzione del muro da parte di Israele, nella sua tonalità o in parti di esso, soddisfi a questi requisiti, tutti gli elementi fondamentali relativi al problema della necessità e della proporzionalità devono essere analizzati. L’approccio formalistico della Corte al problema dell’autodifesa gli consente di evitare di affrontare il nodo vero che è al centro di questo caso.

7. Nel riassumere la sua sentenza che il muro viola la legge umanitaria internazionale e la legge internazionale dei diritti umani, la Corte afferma :

“In sintesi la Corte, dal materiale a sua disposizione, non è convinta che l’itinerario specifico scelto da Israele per il muro sia necessario per raggiungere i suoi obiettivi di sicurezza. Il muro, lungo il tracciato scelto e con la gestione ad esso associata, inficia gravemente un certo numero di diritti dei Palestinesi residenti nel territorio occupato da Israele e le violazioni che derivano dal tracciato non possono essere giustificate da esigenze militari o da necessità di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. Di conseguenza la costruzione di questo tipo di muro costituisce da parte di Israele la violazione di diversi suoi obblighi rispetto alla legge umanitaria internazionale ed all’insieme delle norme sui diritti umani.” (Para. 137)

La Corte supporta questa conclusione con estese citazioni della legislazione pertinente e con prove che si riferiscono alla sofferenze che il muro ha causato in alcuni punti del suo tracciato. Ma nel raggiungere la sua conclusione la Corte non riesce a mostrare alcun fatto o prova che dimostrino che le affermazioni di Israele in relazione ad esigenze militari o necessità di sicurezza nazionale siano senza fondamento. È vero che nel trattare questo tema la Corte sostiene di essersi basata sul sommario basato su fatti fornito dal Segretario Generale delle Nazioni Unite e su altri rapporti della stessa organizzazione. È altrettanto vero, tuttavia, che la Corte prende a mala pena in considerazione il sunto delle posizioni israeliane su questo tema allegato al rapporto del Segretario Generale che contraddice o pone dubbi sul materiale su cui la Corte dice di basarsi. Al contrario, tutto quello che abbiamo dalla Corte è una descrizione dei problemi che il muro causa ed una descrizione delle leggi umanitarie internazionali vigenti e dell’insieme delle norme per i diritti umani seguita dalla conclusione che questa legge è stata violata.
Manca un esame dei fatti che avrebbero potuto mostrare perché le dichiarate esigenze di difesa o militari, di sicurezza nazionale o di ordine pubblico non siano applicabili al muro nel suo insieme o a tratti particolari del suo percorso. La Corte dice che “non è convinta” ma non è capace di dimostrare perché non è convinta, e questa è la ragione per cui le sue conclusioni non sono convincenti.

8. È vero che alcune delle leggi umanitarie internazionali vigenti che la corte cita non ammettono eccezioni, nemmeno per esigenze militari. Perciò, l’articolo 46 delle norme dell’Aja stabilisce che la proprietà privata deve essere rispettata e non può essere confiscata. Nel sommario della posizione legale del Governo di Israele, Allegato I al rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite, A/ES-10/248, p. 8, il Segretario Generale riferisce la posizione di Israele su questo tema come segue :”Il Governo di Israele sostiene: non c’è cambio di proprietà della terra; è disponibile un compenso per l’uso della terra, per il taglio del raccolto o per danni al terreno; i residenti possono appellarsi alla Corte Suprema per fermare o modificare la costruzione e mantengono lo stato di residenti”. La Corte non prende in considerazione questi argomenti. Anche se queste tesi di Israele non fossero state necessariamente determinanti per il tema trattato, la Corte avrebbe dovuto comunque prenderle in considerazione ed avrebbe dovuto collegarle all’ulteriore asserzione israeliana che il muro è una struttura temporanea, cosa di cui la Corte prende nota come di una “assicurazione fornita da Israele” (Para. 121).

9. Anche il Paragrafo 6 dell’Articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra non ammette eccezioni per esigenze militari o di sicurezza. Esso prevede che: “la Potenza Occupante non dovrebbe espellere o trasferire parte della sua popolazione civile nel territorio che esso occupa”. Io sono d’accordo sul fatto che questa legge vigente si applichi agli insediamenti israeliani nella Cisgiordania e che la loro esistenza violi l’Articolo 49, paragrafo 6. Di conseguenza, i segmenti di muro che Israele sta costruendo per proteggere gli insediamenti sono ipso facto in violazione della legge internazionale umanitaria. Inoltre, considerate le grandi privazioni dimostrabili a cui la popolazione Palestinese interessata è soggetta dentro e fuori dalle enclavi create da questi segmenti del muro, dubito seriamente che in questo caso il muro soddisferebbe le richieste di proporzionalità necessarie per qualificarlo come una misura legittima di autodifesa.

10. Un’ultima parola in relazione alla mia opinione che la Corte avrebbe dovuto rifiutare, nell’esercizio della sua discrezionalità, di affrontare questo caso. Si potrebbe obiettare che la Corte non disponeva di molti dati di fatto pertinenti alla costruzione del muro perché Israele non li ha presentati e che la Corte quindi ha avuto ragione nell’appoggiarsi quasi esclusivamente ai rapporti delle Nazioni Unite che le sono stati presentati. Quest’affermazione sarebbe stata valida se, invece di avere a che fare con una richiesta di opinione consultiva, la Corte avesse avuto a che fare con un contenzioso in cui ciascuna delle due parti avesse il dovere di provare le sue rivendicazioni. Ma questa regola non si applica alla procedura di opinioni consultive che non hanno parti in causa. Nel momento in cui la Corte ha riconosciuto che l’accettazione da parte di Israele di questa azione legale non era necessaria perché non si trattava di un processo contro Israele, e che questi quindi non era una delle parti in causa, Israele non aveva un obbligo legale di partecipare a questi dibattiti o di portare prove che sostenessero la sua rivendicazione della legalità del muro. Anche se io posso avere le mie opinioni personali se sia stato saggio da parte di Israele di non fornire le informazioni necessarie, questo non è un problema su cui io debba emettere una decisione. Resta il fatto che non c’era l’obbligo. La Corte perciò non può trarre una conclusione negativa dal fatto che Israele non ha partecipato al dibattito, o decidere, senza fare essa stessa un’analisi approfondita, che le informazioni e le prove ricevute fossero sufficienti per sostenere tutte e ciascuna delle sue radicali conclusioni legali.

Firmato: Thomas Buergenthal



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Tenenbaum

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Inviato: 01-10-2004 16:54  
inoltre vedo che ignori completamente la questione dei confini che è strettamente collegata al problema muro , ma non ci si può stupire di ciò
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Quilty

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Inviato: 01-10-2004 17:07  
quote:
In data 2004-10-01 16:42, Tenenbaum scrive:
meno morti non sono FATTI per te ?
cosa sono opinioni personali ?

meno morti = FATTO



Questo non è un fatto.
Questa è uan tua opinione ,ma non è sostenuta da alcun fatto.
Non hai riportato nessun fatto al riguardo.
Dati? Cifre?
Io non vedo nulla.
Io ho riportato siti imparziali e cifre.
Da parte tua,il nulla.



quote:
inoltre tu ti lamenti che io ti attribuisco i miei concetti a te (interlocutore)
a parte il fatto che trattasi di provocazione (difficile dacapire vero ....)
ma scusa ma ti sei mai letto ?
è quello che tu fai regolarmente con tutti

cos'è hai l'esclusiva ? posso comprare anche io i diritti



Io non ho mai detto ,nè nei tuo confronti nè tantomeno nei confronti di chiunque, oppure ho mai supposto che qualcuno goda nel veder morire la gente.
Voi ,inteso come voi del forum ,il gruppo di destra , lo fa quotidianamente .
Scrivete i vostri pensierini dicendo che gli altri sono amici dei terroristi,oopure che godono nel veder morire la gente.
Sono argomenti naturalmente non degni di risposta, talmente infantili e - mi si conceda- CRETINI !


quote:
e quella che tu chiami fatti , cioè la sentenza DELLA CORTE dell'Aja ha ricevuto molte critiche in tutto il mondo , non è stata accolta unanimamente come positiva anche se tu vorresti far credere il contrario

E QUESTO PRIMA DI TUTTO PER RAGIONI DI CARATTERE GIURIDICO , che tu ovviamente ignori


porterò l'esempio del giudice israeliano (che tu ovviamnete considererai di parte) me che in realtà porta un approfondimento che va ben oltre le tue solite banali considerazioni che non vanno oltre il riportare un documento da leggere


lllegittima e infondata la sentenza dell'Aja
Dichiarazione del giudice Buergenthal
Testo integrale della Dichiarazione con cui il giudice Thomas Buergenthal ha motivato il suo (unico) voto contrario all’opinione emessa dalla Corte Internazionale dell’Aja il 9 luglio sulla barriera anti-terrorismo israeliana.

1. Poiché io credo che la Corte avrebbe dovuto esercitare il suo potere discrezionale e rifiutare di dare il parere consultivo richiesto, dissento dalla decisione di affrontare questo caso.
Il mio voto negativo in relazione ai punti seguenti della sentenza non deve essere interpretato come se riflettesse una mia opinione che la costruzione del muro da parte di Israele nei Territori Palestinesi Occupati non faccia sorgere domande serie sul piano della legge internazionale. Io credo che queste domande siano legittime e condivido molto di quanto scritto nell’ “Opinione” espressa dalla Corte.
Tuttavia sono costretto a votare contro la sentenza della Corte nel merito perché essa non aveva a sua disposizione elementi basati su fatti reali necessari per poter raggiungere la sua assoluta sentenza; perciò avrebbe dovuto declinare la richiesta di affrontare questo caso.
Sono giunto a questa conclusione guidato da quello che la Corte stessa aveva detto in “Sahara Occidentale”. In quel caso la Corte aveva messo in risalto che il punto critico per decidere se esercitare o no il suo potere decisionale in relazione all’eventualità’ di accettare una richiesta di parere consultivo era il fatto che la Corte “avesse abbastanza informazioni e prove tali da permettere di arrivare ad una conclusione giuridica su tutti i fatti sui quali è necessario fare chiarezza, per dare un’opinione in condizioni compatibili con il suo carattere giudiziario” (Sahara Occidentale, opinione consultiva, Rapporti I.C.J. 1975, pag. 28-29, paragrafo 46).
A mio giudizio, l’assenza in questo caso delle informazioni e delle prove necessari invalida la sentenza della Corte nel merito.

2. Condivido l’opinione della Corte che la legge umanitaria internazionale, inclusa la Quarta Convenzione di Ginevra, e tutte le leggi internazionali sui diritti umani siano applicabili al Territorio Palestinese Occupato, e che perciò debbano essere scrupolosamente rispettate da Israele. Condivido l’opinione che il muro stia causando sofferenze deplorevoli a molti Palestinesi che vivono in quel territorio. In relazione a questo, sono d’accordo sul fatto che i mezzi usati per difendersi dal terrorismo debbano essere conformi a tutte le regole applicabili della legge internazionale e che uno Stato che è vittima del terrorismo non possa difendersi da questo flagello ricorrendo a misure che la legge internazionale proibisce.

3. Può capitare, ed io sono pronto ad accettarlo, che dopo un’analisi accurata di tutti i fatti pertinenti si giunga alla conclusione che alcuni o anche tutti i segmenti del muro in corso di costruzione da parte di Israele nel Territorio Palestinese Occupato violino la legge internazionale (vedi para. 10 sotto). Ma raggiungere questa conclusione sul muro nel suo complesso senza avere a disposizione o senza cercare di reperire le prove concrete in relazione al problema del diritto di Israele all’autodifesa, alle sue necessità militari ed al bisogno di sicurezza, tenuto conto dei ripetuti attacchi terroristici mortali - provenienti dai Territori Palestinesi Occupati - nel cuore stesso di Israele, a cui Israele è stato e continua ad essere soggetto, non è motivato secondo il diritto. La natura di questi attacchi attraverso la Linea Verde ed il loro impatto su Israele e sulla sua popolazione non sono mai stati seriamente esaminati dalla Corte, ed il dossier fornito alla Corte dalle Nazioni Unite, sul quale la Corte ha basato in gran parte le sue conclusioni, tocca a malapena questo tema. Io non sto suggerendo che quest’esame avrebbe assolto Israele dall’accusa che il muro che sta costruendo violi la legge internazionale, sia in toto che in parte, ma affermo che senza quest’analisi le conclusioni raggiunte non hanno fondamento legale. A mio parere, le necessità umanitarie del popolo palestinese sarebbero state servite meglio se la Corte avesse tenuto conto di queste considerazioni, perché questo avrebbe dato all’ “Opinione” espressa la credibilità di cui credo difetti.

4. Quello che sto affermando vale sia per sentenza complessiva della Corte quando afferma che il muro nel suo insieme, nella misura in cui è costruito sul territorio Palestinese Occupato, viola la legge internazionale umanitaria e la legge internazionale sui diritti umani, sia per la parte della sentenza che afferma che la costruzione del muro “ostacola gravemente il diritto all’autodeterminazione del popolo Palestinese, ed è perciò una violazione dell’obbligo di Israele a rispettare tale diritto” (para. 122). Io sono d’accordo che il popolo Palestinese abbia diritto all’autodeterminazione e che questo debba essere pienamente protetto. Ma anche supponendo, senza necessariamente essere d’accordo, che questo diritto sia pertinente al caso che stiamo trattando e che venga violato, il diritto di Israele all’autodifesa, se applicabile ed invocato in modo legittimo, precluderebbe ciò nondimeno la possibilità di definire illegali questi atti. Vedi articolo 21 della Commissione Legislativa Internazionale che dichiara: “L’atto di uno Stato non può essere definito illegale se esso costituisce una misura legale di autodifesa presa in conformità alla Carta delle Nazioni Unite.”

5. Se il diritto di Israele all’autodifesa giuochi un ruolo nel caso in oggetto dipende, secondo me, da un’analisi della natura e della portata degli attacchi terroristici mortali provenienti dall’esterno della Linea Verde a cui lo Stato di Israele è stato sottoposto, e dalla misura in cui la costruzione del muro, nella sua totalità od in alcuni segmenti, sia una risposta necessaria e proporzionata al tipo di attacchi. Secondo la legge, a me non sembra inconcepibile che alcuni segmenti del muro costruito nei territori palestinesi rispondano a questi requisiti, ed altri no. Ma per raggiungere una conclusione in un senso o nell’altro bisogna esaminare i fatti correlati a quel problema specifico, in relazione a particolari segmenti del muro, alle loro necessità per la difesa ed alle considerazioni topografiche correlate.

Dal momento che la Corte non aveva a disposizione questi dati, è stata costretta ad adottare la conclusione secondo me discutibile sul piano legale che il diritto di autodifesa intrinseco e legittimo non si può applicare a questo caso. La Corte pone il problema in questi termini :

“ L’Articolo 51 della Carta… riconosce l’esistenza di un diritto intrinseco all’autodifesa nel caso di attacco armato di uno Stato contro un altro Stato. Tuttavia Israele non sostiene che gli attacchi contro di esso sono imputabili a uno stato straniero.

La Corte nota inoltre che Israele esercita il suo controllo sul Territorio Palestinese Occupato, e che, come Israele stesso dichiara, la minaccia che giustifica la costruzione del muro ha origine all’interno, e non all’esterno di tale territorio. La situazione perciò non è paragonabile a quella contemplata dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 1368 (2001) e 1373 (2001), e quindi Israele non può fare riferimento a quelle risoluzioni in appoggio alla sua rivendicazione di esercitare un diritto di autodifesa.

Quindi la Corte conclude che l’articolo 51 della Carta non ha rilevanza in questo caso” (Para. 139)

6. Questa conclusione presenta due problemi principali . Il primo è che la Carta delle Nazioni Unite, nell’affermare il diritto intrinseco all’autodifesa, non fa dipendere la possibilità di utilizzarlo dal fatto che l’attacco armato sia attuato un altro Stato, lasciando quindi in sospeso per il momento il problema se la Palestina, per quanto riguarda caso giuridico in esame, non debba essere, come non lo è di fatto, assimilata dalla Corte ad uno Stato. L’articolo 51 della Carta prevede che : “Niente nella presente Carta dovrebbe menomare il diritto intrinseco all’autodifesa individuale o collettiva se avviene un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite…”.
Inoltre, nella risoluzione citata dalla Corte, il Consiglio di Sicurezza ha detto molto chiaramente che “il terrorismo internazionale costituisce una minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionale, riaffermando” al tempo stesso “il diritto intrinseco all’autodifesa individuale o collettiva come riconosciuto dalla Carta delle Nazioni Unite e come ribadito nella risoluzione 1368 (2001)” (Risoluzione del Consiglio di sicurezza 1373 (2001)).
Nella sua risoluzione 1368 (2001), adottata il giorno dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti, il Consiglio di Sicurezza invoca il diritto all’autodifesa invitando la comunità internazionale a combattere contro il terrorismo.
In nessuna di questa risoluzioni il Consiglio di sicurezza ha limitato l’applicazione solo ad attacchi terroristici condotti da Stati, né questa limitazione era implicita nelle risoluzioni citate. In realtà, valeva il contrario (vedi Thomas Franck, “Terrorismo ed il diritto all’autodifesa” American Journal of International law, Vol 95, 2001, pp. 839-840)

In secondo luogo, Israele sostiene di avere diritto all’autodifesa contro gli attacchi terroristici che provengono dal di fuori della Linea Verde e sono diretti contro il suo territorio e che nel fare questo essa eserciti il suo diritto intrinseco all’autodifesa. Per valutare la correttezza di questa asserzione non è rilevante il fatto che si supponga che Israele eserciti il suo controllo sul Territorio Palestinese Occupato – qualsiasi cosa la parola “controllo” significhi considerati gli attacchi a cui Israele è sottoposta a partire da questo territorio – o che gli attacchi non abbiano origine al di fuori del territorio israeliano.
Nella misura in cui la Linea Verde è accettata dalla Corte come il limite che divide Israele dal Territorio Palestinese Occupato, gli attacchi contro Israele provengono da un territorio che non è parte dello stato di Israele. Perciò gli attacchi contro Israele provenienti dal territorio al di là della Linea Verde devono permetter ad Israele di esercitare il suo diritto di autodifesa contro di essi, purché le misure adottate siano consistenti con l’esercizio legittimo di questo diritto. Per giudicare questo, cioè per valutare se la costruzione del muro da parte di Israele, nella sua tonalità o in parti di esso, soddisfi a questi requisiti, tutti gli elementi fondamentali relativi al problema della necessità e della proporzionalità devono essere analizzati. L’approccio formalistico della Corte al problema dell’autodifesa gli consente di evitare di affrontare il nodo vero che è al centro di questo caso.

7. Nel riassumere la sua sentenza che il muro viola la legge umanitaria internazionale e la legge internazionale dei diritti umani, la Corte afferma :

“In sintesi la Corte, dal materiale a sua disposizione, non è convinta che l’itinerario specifico scelto da Israele per il muro sia necessario per raggiungere i suoi obiettivi di sicurezza. Il muro, lungo il tracciato scelto e con la gestione ad esso associata, inficia gravemente un certo numero di diritti dei Palestinesi residenti nel territorio occupato da Israele e le violazioni che derivano dal tracciato non possono essere giustificate da esigenze militari o da necessità di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. Di conseguenza la costruzione di questo tipo di muro costituisce da parte di Israele la violazione di diversi suoi obblighi rispetto alla legge umanitaria internazionale ed all’insieme delle norme sui diritti umani.” (Para. 137)

La Corte supporta questa conclusione con estese citazioni della legislazione pertinente e con prove che si riferiscono alla sofferenze che il muro ha causato in alcuni punti del suo tracciato. Ma nel raggiungere la sua conclusione la Corte non riesce a mostrare alcun fatto o prova che dimostrino che le affermazioni di Israele in relazione ad esigenze militari o necessità di sicurezza nazionale siano senza fondamento. È vero che nel trattare questo tema la Corte sostiene di essersi basata sul sommario basato su fatti fornito dal Segretario Generale delle Nazioni Unite e su altri rapporti della stessa organizzazione. È altrettanto vero, tuttavia, che la Corte prende a mala pena in considerazione il sunto delle posizioni israeliane su questo tema allegato al rapporto del Segretario Generale che contraddice o pone dubbi sul materiale su cui la Corte dice di basarsi. Al contrario, tutto quello che abbiamo dalla Corte è una descrizione dei problemi che il muro causa ed una descrizione delle leggi umanitarie internazionali vigenti e dell’insieme delle norme per i diritti umani seguita dalla conclusione che questa legge è stata violata.
Manca un esame dei fatti che avrebbero potuto mostrare perché le dichiarate esigenze di difesa o militari, di sicurezza nazionale o di ordine pubblico non siano applicabili al muro nel suo insieme o a tratti particolari del suo percorso. La Corte dice che “non è convinta” ma non è capace di dimostrare perché non è convinta, e questa è la ragione per cui le sue conclusioni non sono convincenti.

8. È vero che alcune delle leggi umanitarie internazionali vigenti che la corte cita non ammettono eccezioni, nemmeno per esigenze militari. Perciò, l’articolo 46 delle norme dell’Aja stabilisce che la proprietà privata deve essere rispettata e non può essere confiscata. Nel sommario della posizione legale del Governo di Israele, Allegato I al rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite, A/ES-10/248, p. 8, il Segretario Generale riferisce la posizione di Israele su questo tema come segue :”Il Governo di Israele sostiene: non c’è cambio di proprietà della terra; è disponibile un compenso per l’uso della terra, per il taglio del raccolto o per danni al terreno; i residenti possono appellarsi alla Corte Suprema per fermare o modificare la costruzione e mantengono lo stato di residenti”. La Corte non prende in considerazione questi argomenti. Anche se queste tesi di Israele non fossero state necessariamente determinanti per il tema trattato, la Corte avrebbe dovuto comunque prenderle in considerazione ed avrebbe dovuto collegarle all’ulteriore asserzione israeliana che il muro è una struttura temporanea, cosa di cui la Corte prende nota come di una “assicurazione fornita da Israele” (Para. 121).

9. Anche il Paragrafo 6 dell’Articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra non ammette eccezioni per esigenze militari o di sicurezza. Esso prevede che: “la Potenza Occupante non dovrebbe espellere o trasferire parte della sua popolazione civile nel territorio che esso occupa”. Io sono d’accordo sul fatto che questa legge vigente si applichi agli insediamenti israeliani nella Cisgiordania e che la loro esistenza violi l’Articolo 49, paragrafo 6. Di conseguenza, i segmenti di muro che Israele sta costruendo per proteggere gli insediamenti sono ipso facto in violazione della legge internazionale umanitaria. Inoltre, considerate le grandi privazioni dimostrabili a cui la popolazione Palestinese interessata è soggetta dentro e fuori dalle enclavi create da questi segmenti del muro, dubito seriamente che in questo caso il muro soddisferebbe le richieste di proporzionalità necessarie per qualificarlo come una misura legittima di autodifesa.

10. Un’ultima parola in relazione alla mia opinione che la Corte avrebbe dovuto rifiutare, nell’esercizio della sua discrezionalità, di affrontare questo caso. Si potrebbe obiettare che la Corte non disponeva di molti dati di fatto pertinenti alla costruzione del muro perché Israele non li ha presentati e che la Corte quindi ha avuto ragione nell’appoggiarsi quasi esclusivamente ai rapporti delle Nazioni Unite che le sono stati presentati. Quest’affermazione sarebbe stata valida se, invece di avere a che fare con una richiesta di opinione consultiva, la Corte avesse avuto a che fare con un contenzioso in cui ciascuna delle due parti avesse il dovere di provare le sue rivendicazioni. Ma questa regola non si applica alla procedura di opinioni consultive che non hanno parti in causa. Nel momento in cui la Corte ha riconosciuto che l’accettazione da parte di Israele di questa azione legale non era necessaria perché non si trattava di un processo contro Israele, e che questi quindi non era una delle parti in causa, Israele non aveva un obbligo legale di partecipare a questi dibattiti o di portare prove che sostenessero la sua rivendicazione della legalità del muro. Anche se io posso avere le mie opinioni personali se sia stato saggio da parte di Israele di non fornire le informazioni necessarie, questo non è un problema su cui io debba emettere una decisione. Resta il fatto che non c’era l’obbligo. La Corte perciò non può trarre una conclusione negativa dal fatto che Israele non ha partecipato al dibattito, o decidere, senza fare essa stessa un’analisi approfondita, che le informazioni e le prove ricevute fossero sufficienti per sostenere tutte e ciascuna delle sue radicali conclusioni legali.

Firmato: Thomas Buergenthal







Quella che ho ripostato è una SENTENZA di una corte internazionale.
Se si parte dal presupposto che le sentenze degli organi internazionali non debbano essere rispettate o prese in considerazione come pareri autorevoli, la discussione è già chiusa.
Ti sei delegittimato da solo.
La stessa Amnesty,come ho riportato, ha dichiarato che ISRAELE DEVE RISPETTARE LE SENTENZE DEI TRIBUNALI INTERNAZIONALI altrimenti il diritto internazionale è una barzelletta, ed è svilito grazie a quei protagonisti che pretenderebbero, in base a chissà quale aberrante ideologia, di agire in nome dei diritti dei popoli.

Il parere del giudice che hai riportato è stato messo in minoranza (14 contro 1) dalla sentenza imparziale del tribunale dell'Aja.
Le sentenze servono a questo, altrimenti sono carta straccia.Il parere di quel giudice è stato sconfessato dalla stessa corte e dallo stesso tribunale in cui lui ha operato liberamente.

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Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
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Da: milano (MI)
Inviato: 01-10-2004 17:08  
quote:
In data 2004-10-01 16:54, Tenenbaum scrive:
inoltre vedo che ignori completamente la questione dei confini che è strettamente collegata al problema muro , ma non ci si può stupire di ciò




Che ridere.
Pensa che ho riportato un sito dove si parla di confini, e di come il muro superi abbondantemente i confini e violi i diritti di duecentomila persone.

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Tenenbaum

Reg.: 29 Dic 2003
Messaggi: 10848
Da: cagliari (CA)
Inviato: 01-10-2004 17:21  
quote:
In data 2004-10-01 17:07, Quilty scrive:

Quella che ho ripostato è una SENTENZA di una corte internazionale.
Se si parte dal presupposto che le sentenze degli organi internazionali non debbano essere rispettate o prese in considerazione come pareri autorevoli, la discussione è già chiusa.
Ti sei delegittimato da solo.
La stessa Amnesty,come ho riportato, ha dichiarato che ISRAELE DEVE RISPETTARE LE SENTENZE DEI TRIBUNALI INTERNAZIONALI altrimenti il diritto internazionale è una barzelletta, ed è svilito grazie a quei protagonisti che pretenderebbero, in base a chissà quale aberrante ideologia, di agire in nome dei diritti dei popoli.

Il parere del giudice che hai riportato è stato messo in minoranza (14 contro 1) dalla sentenza imparziale del tribunale dell'Aja.
Le sentenze servono a questo, altrimenti sono carta straccia.Il parere di quel giudice è stato sconfessato dalla stessa corte e dallo stesso tribunale in cui lui ha operato liberamente.



il fatto che tu non hai voglia di leggere e capire i motivi non è colpa mia

leggi un po' meglio gli articoli in giro , dai
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Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 01-10-2004 17:26  
Tutto qui?
E' stupefacente.
Io ti ho riportato la sentenza di un tribunale Internaizonale,la cui votazione è stata di 14 a 1.
Tu mi hai riportato l'unico voto contrario,la tesi sconfitta da quel tribunale , e hai il coraggio di venire a dire che le tue argomentazioni sarebbero migliori di quelle che io ho presentato?
Che io dovrei leggere meglio o che non ho voglia di informarmi?

Le tue argomentazioni, o meglio quelle che hai riportato, sono state sconfessate dalla stessa corte dell'Aja con la votazione di 14 contro 1.
Non c'è altro da aggiungere.
E' come se una sentenza si concludesse con una condanna per omicidio e arrivasse un tizio riportando l'unico parere contrario della giuria, e pretendendo che quel parere fosse degno di considerazione!
E' questo il concetto che hai dei diritti e della legge?

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Tenenbaum

Reg.: 29 Dic 2003
Messaggi: 10848
Da: cagliari (CA)
Inviato: 01-10-2004 17:41  
un piccolo spunto alla lettura visto che non ti smuovi

......"La decisione della Corte, attesa da quattro mesi, è stata letta dal presidente cinese della Corte e ha un carattere meramente consultivo, non è vincolante: la sentenza non è quindi un'ingiunzione ma una semplice raccomandazione. Tuttavia poiché è stata proprio l'Assemblea Generale dell'Onu a sollecitare alla Corte il pronunciamento sulla delicata questione, la sentenza ha sucitato grande interesse a livello internazionale........"


della serie leggi ciò che ha detto il giudice israeliano che ha fatto notazioni che non hanno niente a che vedere con simpatie nazionalistiche

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Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 01-10-2004 17:47  
Il giudice israeliano è stato sconfessato dalla Corte dell'aja.
Il suo parere non ha alcuna attendibilità.

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Tenenbaum

Reg.: 29 Dic 2003
Messaggi: 10848
Da: cagliari (CA)
Inviato: 01-10-2004 20:00  
continui a non leggere

comunque non si tratta di semplici pareri
si tratta di questioni giuridiche

dovresti ben sapere che una sentenza non è la parola divina

la sentenza fa acqua da tutte le parti
ci saranno ulteriori risvolti

ed il tempo dimostrerà appunto questo fatto (pronto a scommettere)

come del resto il link di amnesty, non trovandosi questa volta di fronte ad atti violenti, non è molto convincente visto che descrive situazioni non dissimili a quelle pre-muro


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Tenenbaum

Reg.: 29 Dic 2003
Messaggi: 10848
Da: cagliari (CA)
Inviato: 01-10-2004 23:54  
quote:
In data 2004-10-01 17:47, Quilty scrive:
Il giudice israeliano è stato sconfessato dalla Corte dell'aja.
Il suo parere non ha alcuna attendibilità.



il giudice fa parte . prima di tutto della corte

" Il suo parere non ha alcuna attendibilità"
affermazione priva del benchè minimo fondamento

del resto è evidente che non hai letto niente di quanto scritto
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Tenenbaum

Reg.: 29 Dic 2003
Messaggi: 10848
Da: cagliari (CA)
Inviato: 01-10-2004 23:55  
un parere di una persona che considero fra le più illuminate che scrivono sui giornali



QUEL DIRITTO IGNORATO
di ANGELO PANEBIANCO

E’ finita come tutti prevedevano. Secondo il parere, giuridicamente non vincolante ( ma di evidente valore politico), della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, il muro costruito, su decisione del governo Sharon, per separare gli israeliani dai palestinesi al fine di difendere i primi dagli attacchi terroristici, rappresenterebbe una violazione del diritto internazionale e un vulnus ai diritti umani. Come previsto, i palestinesi esultano e si apprestano ad usare il parere della Corte per chiedere all’Onu sanzioni contro Israele.
La settimana scorsa, con una decisione che fa onore a Israele e alla sua democrazia ( e che consente anche di misurare la distanza, in termini di civiltà giuridica, fra Israele e i suoi vicini mediorientali), la Corte suprema israeliana, accogliendo i ricorsi dei palestinesi danneggiati, ha imposto al governo di fare drastiche modifiche al tracciato del muro: esso non potrà più, come è stato inizialmente, penetrare in profondità nel territorio palestinese.
Ma il parere della Corte dell'Aja è di tutt'altro tenore. Essa ha ignorato l'esigenza di sicurezza che ha portato alla costruzione del muro ( ridurre il pericolo di attacchi kamikaze contro la popolazione israeliana). Ha ignorato anche il fatto che da quando il muro è stato eretto gli attacchi kamikaze sono drasticamente diminuiti. Come se tra i « diritti umani » da proteggere non ci fosse anche quello di chi non vuole rimanere vittima di attacchi terroristi.
Poi si potrà discutere della questione giuridica sottostante: diversi governi, e non solo quello israeliano, hanno contestato il diritto della Corte di pronunciarsi su questo tema.
E si potrà anche discutere della composizione della Corte e del « grado di imparzialità » della medesima.
Era noto da tempo che uno dei giudici, l'egiziano Nabil al- Arabi, ha un passato politico di oppositore di Israele. La Corte, investita della questione se fosse opportuno o meno lasciare il giudice egiziano al suo posto mentre si decideva a proposito del muro, ha ritenuto ineccepibile la sua presenza.
Ma la questione, a ben vedere, è un'altra. L'idea che Corti internazionali di giustizia possano, sempre e comunque, intervenire nei conflitti armati in atto per distribuire ragioni e torti, è figlia di una generosa ( ma ingenua) utopia liberale ottocentesca. L'idea era che sui conflitti armati potesse decidere,
sine ira et studio , un consesso di giudici. Allo stesso modo in cui il giudice è chiamato a risolvere, in ultima istanza, una disputa condominiale altrimenti incomponibile.
Ma i conflitti internazionali non sono dispute condominiali. E non esistono giudici che possano intervenire sine ira et studio in un conflitto come quello israeliano- palestinese. Soprattutto, non esistono Corti che possano negare a uno Stato, nel caso specifico quello israeliano, di fare tutto ciò che esso ritiene necessario per proteggere la vita dei suoi cittadini.
Nel frattempo, insieme alle consuete immagini di guerra, e di lutti da una parte e dall'altra, da Israele arriva anche qualche buona notizia. Forse nascerà un governo di unità nazionale Sharon- Peres e forse ciò porterà al ritiro israeliano da Gaza. Insieme all' aumentata sicurezza fornita dal muro ( che comunque non potrà essere il confine definitivo dello Stato d’Israele perché questo confine può nascere solo da un negoziato con i palestinesi), il preannunciato ritiro israeliano potrebbe modificare drasticamente lo scenario del conflitto. In meglio, sperabilmente. Pareri di imparziali Corti internazionali permettendo.


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Tenenbaum

Reg.: 29 Dic 2003
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Da: cagliari (CA)
Inviato: 02-10-2004 00:00  

un parere certamente di parte ma che evidenzia specifiche mancanze nella sentenza della Corte


La Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja ha due compiti: esercitare funzione di arbitrato in un contenzioso fra due Stati, e fornire pareri consultivi alle Nazioni Unite. Tuttavia, dal momento che il suo Statuto vincola espressamente la funzione di arbitrato al consenso delle parti interessate, la Corte finora si era sempre rifiutata di emettere pareri consultivi su contenziosi bilaterali nei quali tale parere, per usare le sue stesse parole, “avrebbe l’effetto di aggirare il principio secondo cui uno Stato non è obbligato a consentire che i contenziosi che lo vedono interessato vengano sottoposti a composizione giudiziaria senza il suo consenso”.
Dal momento che la barriera difensiva è chiaramente oggetto di un contenzioso bilaterale tra Israele e palestinesi, e che Israele ha rifiutato l’arbitrato della Corte dell’Aja, in questo caso doveva essere applicato il principio di cui sopra. Invece la Corte, con uno straordinario gioco di prestigio, ha deciso che la barriera non è “solo” un contenzioso bilaterale dal momento che l’Onu ha affermato “una responsabilità permanente verso la questione palestinese”, ha approvato numerose risoluzioni sulla questione e ha creato “diversi enti sussidiari specificamente istituiti per aiutare la realizzazione degli inalienabili diritti del popolo palestinese”. In altre parole, il principio secondo cui l’arbitrato richiede il consenso delle parti può essere tranquillamente aggirato dalll’Onu quando vuole, giacché l’Onu può trasformare qualunque contenzioso bilaterale in un contenzioso “non solo” bilaterale semplicemente approvando un po’ di risoluzioni e creando qualche ente sussidiario che favorisca una delle due parti. Questa interpretazione cancella di fatto un fondamentale meccanismo di garanzia previsto dallo Statuto della Corte Internazionale, un meccanismo di garanzia senza il quale molto probabilmente la maggior parte dei paesi si sarebbero rifiutati di aderirvi: il principio, appunto, per cui l’arbitrato esige il consenso delle parti.
La Corte ha poi trattato con altrettanto disprezzo anche i fatti storici. Essa ha giustamente iniziato la sua breve sintesi del conflitto arabo-israeliano partendo dal Mandato sulla Palestina istituito dalla Società delle Nazioni nel 1922. Incredibilmente, tuttavia, si è dimenticata di menzionare il fatto che lo scopo esplicito di quel Mandato era quello di istituire un “focolare nazionale ebraico” (A Jewish national home), risparmiandosi così di dover ammettere che quel “focolare nazionale” si intendeva su tutto il territorio che oggi è Israele e Cisgiordania (il resto della Palestina storica veniva lasciato alla discrezione della Gran Bretagna, che vi creò la Giordania). Tale omissione è cruciale per la Corte, perché solo così essa può sostenere che la Cisgiordania è tutta e in quanto tale “territorio palestinese occupato”, anziché un territorio conteso sul quale (o su una parte del quale) anche Israele può accampare legittime rivendicazioni.
La stessa tecnica della menzogna per omissione viene usata dalla Corte nel descrivere le guerre successive. Nel 1948, per esempio, per la Corte semplicemente “scoppia un conflitto armato”: non una parola sul fatto che cinque eserciti arabi invasero lo Stato di Israele appena fondato. Nel 1967, di nuovo, “scoppia” una guerra apparentemente senza alcuna causa: non una parola sulle manovre egiziane che portarono alla guerra, dalla chiusura degli stretti all’espulsione delle truppe Onu dal Sinai eccetera. Anche in questi casi, le omissioni sono essenziali alla Corte per poter giungere alla conclusione a cui vuole arrivare, e cioè che Israele avrebbe conquistato la Cisgiordania con un inammissibile atto di forza, e non nel quadro di una guerra di legittima autodifesa.
Per la verità, la Corte non fa nemmeno finta di evitare prese di posizione politiche. Essa infatti esorta le Nazioni Unite ad arrivare “quanto prima possibile a una soluzione negoziata dei problemi aperti e alla creazione di uno stato palestinese”. E’ difficile immaginare un atto più estraneo alla giurisdizione di una Corte di quello, non solo di prescrivere negoziati politici, ma persino di dettarne il risultato: uno stato palestinese.
Ma ancora più stupefacente, se possibile, è il totale rigetto da parte della Corte del diritto di Israele a difendersi dal terrorismo palestinese: che è, naturalmente, la vera ragione della costruzione della barriera.
Israele fonda il proprio diritto sull’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che dice: “Nulla che sia presente in questa Carta potrà inficiare l’intrinseco diritto, individuale e collettivo, all’autodifesa in caso di attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite”. La Corte ha respinto questo argomento di Israele sulla base di due considerazioni.
Primo, dice la Corte dell’Aja, la Carta dell’Onu riconosce il diritto di autodifesa solo “in caso di attacco armato da parte di uno Stato contro un altro Stato”, mentre Israele non subisce l’attacco da parte di uno Stato. Come ha scritto il giudice Thomas Buergenthal nella nota con cui ha motivato il suo (unico) voto contrario, questa tesi rasenta il grottesco. Non solo l’articolo 51 non contiene nessuna limitazione di questo tipo, ma le stesse risoluzioni dell’Onu citate dalla Corte dell’Aja (compresa una approvata il giorno successivo agli attentati dell’11 settembre 2001) riconoscono esplicitamente il diritto all’autodifesa di fronte all’attacco del terrorismo.
In secondo luogo, dice ancora la Corte, gli attacchi che colpiscono Israele originano dalla Cisgiordania, che è sotto controllo di Israele, e dunque essi non possono essere considerati attacchi “esterni” contro i quali Israele possa esercitare il diritto all’autodifesa. E qui, nota ancora il giudice Buergenthal, siamo al ridicolo. La Corte respinge la barriera soprattutto perché considera che la Cisgiordania e tutta la Cisgiordania non fa parte (né mai potrebbe far parte, nemmeno dopo un negoziato) del territorio sovrano d’Israele. Poi, improvvisamente, decide che la Cisgiordania è parte di Israele pur di sostenere che gli attacchi del terrorismo palestinese sono attacchi interni e non attacchi esterni.
La Corte, insomma, si copre di ridicolo pur di negare a Israele il diritto all’autodifesa, perché solo negando questo diritto può arrivare dritta dritta alla conclusione a cui voleva arrivare, e cioè che l’intera barriera in quanto tale lede i diritti dei palestinesi e pertanto è illegale. Se avesse riconosciuto un diritto all’autodifesa di Israele, allora la Corte avrebbe dovuto soppesare i travagli che la barriera provoca ai palestinesi rispetto alle dimensioni della minaccia posta dal terrorismo e alla logica militare sottesa alla determinazione del tracciato della barriera. Una valutazione [giustamente adottata dall’Alta Corte di Giustizia israeliana] che non ha nulla a che vedere con la Linea Verde, e che andrebbe condotta chilometro per chilometro, giacché la quantità di travagli per i palestinesi e di esigenze militari tendono a cambiare di sezione in sezione della barriera.
Invece, come scrive il giudice Buergenthal, “la natura degli attentati attraverso la Linea Verde e il loro impatto su Israele e sulla sua popolazione non sono mai stati davvero seriamente esaminati dalla Corte, e il dossier fornito alla Corte dalle Nazioni Unite, sul quale la Corte ha fondato in gran parte le proprie conclusioni, accenna appena all’argomento. Tutto ciò che riceviamo dalla Corte è una descrizione dei danni causati dal ‘muro’, e una discussione su varie disposizioni del diritto umanitario internazionale”.
E’ difficile crederlo, ma la Corte in tutta la sentenza non prende mai nemmeno atto del fatto che gli esecutori di quegli attentati sono palestinesi.
Ma perché aspettarsi qualcosa di diverso? Per una Corte che ha tanto cervello da gettare in un sol colpo nella pattumiera il principio dell’arbitrato consensuale, il diritto all’autodifesa e quasi cento anni di storia, dei semplici attentati terroristici sono evidentemente qualcosa di troppo banale per essere presi seriamente in considerazione.


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Da: cagliari (CA)
Inviato: 02-10-2004 00:03  
ed altre considerazioni



I dubbi e le paure di Israele
« Saremo ancora più isolati »

L’editorialista Barnea: il principio della divisione è legittimo
Lo scrittore Keret: la barriera rattrista, ma ferma i kamikaze


I milioni spesi per la barriera, i frigoriferi vuoti, la paura di uscire, i palestinesi dall’altra parte. « Quando ho sentito qual era la decisione della Corte internazionale, ho iniziato a riflettere — racconta Orly Castel- Bloom — . Tante idee, tutte confuse. Per proteggerci abbiamo investito un patrimonio, ma in questo Paese sono migliaia le famiglie povere a causa dei tagli. Poi ho pensato ai palestinesi, ai loro campi coltivati. E a mia figlia che ho costretto a prendere subito la patente perché non salisse più su un autobus rischiando di saltare con un kamikaze. Alla fine mi sono detta: negli ultimi giorni ci sono state due leggere scosse di terremoto, forse sarebbe la soluzione migliore, così saremmo impegnati, noi e i palestinesi, a ricostruire le case. E il muro verrebbe abbattuto dalla natura » .
Un terremoto. O una nevicata eccezionale come quella che nel suo
Parti umane sommerge i personaggi: israeliani confusi e afferrati dalle contraddizioni, le stesse ammesse dalla scrittrice nata a Tel Aviv quarantaquattro anni fa. Israeliani che insieme a lei avranno pensato: « Ma che ne sanno i giudici dell’Aja? Non hanno mai abitato qui » . « Non credo ci possano capire — continua Castel- Bloom — . Dopo questa sentenza, verremo ancora di più isolati: già adesso quando vado all’estero racconto piano piano da dove vengo.
Forse non lo dirò più. Mi sento come la cavia di un laboratorio per ricerche sul comportamento in situazioni di ' caos totale' » .
Le reazioni nel mondo, l’angoscia dell’isolamento. E’ quello che preoccupa a Nahum Barnea , editorialista del quotidiano Yediot Aharonot : « La sentenza è solo un’opinione consultiva, nessuno verrà domani a distruggere la barriera. Ma se i Paesi dell’Unione Europea decidessero che gli israeliani devono fare il visto d’ingresso, ne risentiremmo molto. Anche le nostre esportazioni potrebbero essere colpite. Eppure il principio della divisione, della difesa è legittimo: anche tra vicini si costruiscono steccati. Certo, avremmo dovuto seguire il tracciato della Linea Verde.
Il punto è che questa barriera non la vuole nessuno, tranne i cittadini: ai coloni non piace perché equivale a rinunciare alla Grande Israele, alla sinistra in fondo non piace perché causa sofferenze ai palestinesi, all’estero non piace » . Non piace neppure al giovane scrittore Etgar Keret ( Pizzeria kamikaze ) — « l’idea del muro mi rattrista, significa riconoscere che qui la pace non ci sarà mai » — ma ammette: « Quel monumento all’impossibilità di trovare un accordo è servito a rallentare gli attentati » . Sono i numeri che elenca Asa Kasher , docente di Etica all’università di Tel Aviv: « Nel 2002 sono morti 234 civili in attentati suicidi, nel 2003 sono stati 137 e 21 nel 2004. E’ evidente che più la costruzione della barriera va avanti, meno attacchi avvengono. Ordinare di abbatterla è come abbandonare gli israeliani al loro destino: forse i giudici dell’Aja non sanno che questo Stato venne fondato proprio perché le vite degli ebrei non fossero più considerate di secondaria importanza » . Kasher mette in evidenza le differenze con la sentenza emessa il 30 giugno dalla Corte Suprema israeliana: « I nostri giudici hanno deciso che il tracciato della barriera va modificato nei punti dove il danno ai palestinesi è maggiore dei vantaggi per gli israeliani. Questo dovrebbe essere il principio: sicurezza per noi nel rispetto dei loro diritti. La decisione dell’Aja mi sembra molto politica: nel documento hanno usato la parola muro, più evocativa, ma nel progetto i chilometri costruiti in cemento sono 20 su un totale di oltre 650 » .

Uzi Arad , direttore dell’Istituto di politica e strategia di Herzliya, è convinto che la Corte internazionale abbia perso un’occasione: « Avrebbero potuto dimostrare di non essere un organismo politico, di avere una visione equilibrata. Invece non hanno tenuto conto del fatto che la barriera protegge i cittadini israeliani dai kamikaze » .
Come a dire: « Il muro è la porta di casa. Serve a decidere chi può entrare » . E’ lo slogan scelto dallo scrittore Avraham Yehoshua , 68 anni, che da pacifista ha comunque sempre sostenuto la barriera, assieme a parte della sinistra israeliana: « E’ una divisione necessaria per creare buoni rapporti di vicinato, ma andava costruita lungo la Linea Verde — commenta l’autore di L’amante e
La sposa liberata — , nessuno ne avrebbe contestato la legittimità.
L’errore è stato dividere i villaggi palestinesi dai loro campi, come ha indicato la Corte Suprema israeliana.
I giudici dell’Aja non hanno il diritto di negare a Israele la possibilità di creare un confine di difesa » .

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Tenenbaum

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Inviato: 02-10-2004 00:06  
un parere decisamente più duro




La lettura del dispositivo della sentenza della Corte di giustizia dell’Aia che ha definito illegittima la Barriera israeliana, è agghiacciante e costituisce un terribile precedente di diritto, paragonabile,
nella storia dell’antisemitismo della legislazione internazionale, solo al libro
Bianco inglese del 1939 che decretò il blocco dell’immigrazione ebraica in Palestina alla vigilia di Auschwitz. Non è infatti assolutamente vero che la Corte – come si è letto in quasi tutti i commenti – non abbia tenuto conto del diritto alla protezione di Israele dagli atti di terrorismo originati nei Territori e attuati in Israele. La Corte ha ampiamente trattato il punto, ma ha decretato che esso non valga, in punta di diritto; la Corte ha colto esattamente il nodo giuridico e di fatto, ma ha cinicamente stabilito che non è vero quel che è palesemente vero, cioè che la Barriera ha diminuito del 90
per cento gli atti terroristici palestinesi. Ma soprattutto la Corte si è fatta scudo, con uno stile da azzeccagarbugli, della mancata definizione da parte della legislazione internazionale del fenomeno terrorista e, forte di questa carenza, irride il diritto-dovere di Israele di difendere la vita dei suoi cittadini. L’infiltrazione terrorista palestinese non proviene infatti da un altro Stato, ma la legislazione internazionale prevede solo e unicamente questo caso (art. 51 della carta delle Nazioni Unite) e quindi non contempla norme sulla infiltrazione terrorista da un Territorio sotto il regime legale di occupazione (come è la West Bank). La Corte che è struttura dell’Onu) non chiede quindi, come avrebbe dovuto fare, che questo vuoto venga colmato, ma giudica lo stesso. Ai 14 giudici dell’Aia (il 15°, statunitense si è opposto) non interessa che il terrorismo sia nemico da battere su scala planetaria,
che Israele soffra come nessun paese al mondo le sue ferite. Cinicamente, burocraticamente sanciscono che siccome il diritto internazionale prevede solo aggressioni terroristiche provenienti da un altro Stato, nessun paese ha diritto di “inventare” tecniche di difesa, come la Barriera, che riducano radicalmente l’attività terroristica. Il senso di voluta e indebita provocazione politica della sentenza è immediato: solo se i Territori fossero non più sotto controllo di Israele, ma di un Stato palestinese sovrano, la Barriera anti terrorista potrebbe essere legittimata (naturalmente entro i propri confini). Questi i passi della sentenza che ne costituiscono il baricentro: “L’articolo 51 della carta delle Nazioni Unite, riconosce l’esistenza di un inerente diritto all’autodifesa in caso di attacco armato di uno Stato contro un altro Stato. Comunque, Israele non sostiene che gli attacchi ai quali è esposto siano imputabili a uno Stato straniero. La
Corte rileva anche che Israele esercita controllo nel Territorio ìalestinese occupato e che, come Israele stessa afferma, la minaccia alla quale si riferisce per giustificare la costruzione del muro si origina all’interno e
non all’esterno, di quel territorio. La situazione si rivela quindi differente da quella contemplata dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza 1368 (2001) e 1373 (2001) e pertanto Israele non potrebbe in alcun caso invocare
tali risoluzioni a sostegno della sua pretesa di esercitare diritto di autodifesa […] Alla luce del materiale presentato, la Corte non è convinta che la costruzione del muro lungo il percorso scelto fosse il solo mezzo per salvaguardare gli interessi di Israele contro il pericolo invocato come giustificazione della sua costruzione. Sebbene Israele goda del diritto, e invero abbia il dovere, di rispondere ai numerosi e mortali atti di violenza rivolti contro la sua popolazione civile, al fine di proteggere la vita dei
suoi cittadini, le misure adottate devono rispettare la legislazione internazionale applicabile. Israele non può fare appello a un diritto all’autodifesa o a uno stato di necessità misconoscendo l’erroneità dei presupposti della costruzione del muro. La Corte conseguentemente ritiene che la costruzionedel muro e l’annesso regime siano contrari alla legislazione internazionale”. Si prenda la legittimazione secondo il diritto coranico degli attentati-sucidi in Israele e in Iraq, definita da Mohammed al Tantawi, Imam della moschea di al Azhar del Cairo il Foglio del 10.07.04) e si vedrà che la coincidenza, in punto di diritto, tra la Corte dell’Aia e la shar’ia fondamentalista, è totale.

Carlo Panella
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ULTERIORE CONFERMA DA UN PROFESSORE DI DIRITTO

elencare i suoi scritti di diritto non mi sembra il caso



Se la Corte internazionale suscita perplessità

di Tommaso Edoardo Frosini

La decisione della Corte internazionale di giustizia dell'Aja con la quale viene dichiarato illegale il muro in Cisgiordania, perché determinerebbe la violazione di una serie di diritti dei palestinesi, la si potrebbe collocare nell'ambito del percorso avviato dalle Corti giurisdizionali a tutela dei diritti umani e delle libertà personali. Mi riferisco, in particolare, alle recenti sentenze della Corte Suprema americana sui detenuti di Guantanamo, che puntano al rispetto dello habeas corpus; alla sentenza della Corte Suprema israeliana, che si è pronunciata sull'esigenza di rivedere il tracciato del muro intorno alla Cisgiordania al fine di "minimizzare le sofferenze dei palestinesi"; e poi ai due grandi processi internazionali avviati contro Milosevic e Saddam Hussein, accusati di reati contro l'umanità. Si tratta di questioni differenti fra loro, sia politicamente che giuridicamente; ma qui interessa sottolineare l'attivismo delle Corti giurisdizionali e il ruolo globalizzante che esercitano nelle democrazie contemporanee.

Certo, non si può non salutare con favore e convinzione il fatto che il potere giudiziario assuma a sé il compito di custodire i principi dello Stato di diritto attraverso la tutela dei diritti fondamentali degli individui. Compito peraltro che senz'altro gli appartiene, ma che non sempre ha saputo (e voluto) esercitare. Nei casi prima ricordati, invece, non solo ha affermato con autorevolezza la garanzia dei diritti e della legalità, ma si è eretto a interprete di un corretto uso della democrazia imponendo limiti all'indirizzo politico di difesa dei governi. Esercizio assai difficile questo, anche perché giocato sul fragile crinale fra libertà e sicurezza, ovvero tra una legalità costituzionale da custodire e una emergenza legislativa nella lotta contro il terrorismo da non sconfessare.

A voler ragionare sull'attivismo giurisdizionale più recente, occorre però fare dei distinguo. E allora metto da parte i processi contro i dittatori Milosevic e Saddam Hussein, anche perché troppo peculiari rispetto alle altre tre vicende giurisdizionali, le quali invece presentano molte analogie ma una grande differenza. In particolare, si possono senz'altro apprezzare le scelte compiute dai giudici costituzionali americani e israeliani: questi erano chiamati a dare forza alla democrazia del loro Paese mettendo sopra tutto i diritti fondamentali degli individui. Da un lato, quelli dei detenuti della base americana di Guantanamo, che devono essere sottoposti come tutti al due process of law e che pertanto debbono valere per loro come per tutti i diritti costituzionali; dall'altro lato, i diritti di 35.000 palestinesi sradicati dalla loro terra per consentire la costruzione di un muro a tutela della sicurezza dello Stato d'Israele, e quindi il richiamo della Corte israeliana affinché il governo riveda il tracciato del muro e tenga così conto di un giusto equilibrio tra sicurezza e considerazioni umanitarie. Che una Corte Suprema dica al proprio governo cosa è costituzionalmente giusto e come ci deve democraticamente comportare potrà non piacere ma così è, ed è bene che continui ad essere così. Che una Corte internazionale dica ad un Paese cosa deve fare o non fare per la propria politica di sicurezza, sia pure invocando i diritti dell'uomo, forse sarebbe bene che non fosse così e comunque suscita delle riserve. E' pur vero che la decisione della Corte internazionale di giustizia è a titolo consultivo e quindi non vincolante, ma si tratta comunque di un intervento che sindaca la sovranità dello Stato, e non solo. Così come è scritto nella sentenza (la Corte si dice "non convinta che la direzione che Israele ha scelto per il muro necessariamente porti alla realizzazione dei suoi obiettivi nel campo della sicurezza"), ebbene, si tratta di un'affermazione che invade oltre modo le scelte di uno Stato perché penetra nella politica di uno Stato. Se un Paese ritiene di doversi difendere dal terrorismo, al punto di dover escogitare una soluzione estrema quale quella dell'innalzamento di un muro per controllare il traffico degli scambi con i Paesi confinanti, allora può essere consentito che una Corte internazionale faccia l'arbitro del mondo e alzi il cartellino giallo per ammonire quel Paese? Paradossalmente ma non troppo, è come se negli anni Settanta un organo giurisdizionale internazionale avesse bacchettato l'Italia per il varo di una legislazione speciale nella lotta contro il terrorismo dell'epoca, accusandola così di mettere a repentaglio i diritti dei cittadini.

Certo, non si contesta il corretto richiamo ai diritti dell'uomo, che nel caso israeliano sono quelli di parte della popolazione cisgiordana scacciata per fare spazio al muro; quello che lascia perplessi, piuttosto, è che sia una Corte internazionale a valutare il grado di sicurezza oltre il quale uno Stato deve arrestarsi. Come se non esistesse un diritto dei cittadini alla sicurezza che oggi è anche un diritto di libertà. Come se non valesse il principio di sovranità dello Stato in ordine alla propria politica di difesa da attuare per reprimere il cancro del terrorismo, che nelle zone del Medio Oriente è da troppo tempo in metastasi. Come se non bastasse il giusto, doveroso e corretto richiamo giurisdizionale fatto dalla Corte Suprema d'Israele, unico organo deputato a bilanciare i diritti nel proprio territorio, sulla base di considerazioni condizionate dalla concreta realtà del Paese e dalla tensione dei valori che governano in un dato momento storico la popolazione di uno Stato.

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