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Autore La doppia vita di Veronica
Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 18-02-2004 10:45  
Quando in tv:
mer, 18/2 - 16:10, Studio Universal
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ven, 20/2 - 14:30, Studio Universal


scheda

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Quilty

Reg.: 10 Ott 2001
Messaggi: 7637
Da: milano (MI)
Inviato: 18-02-2004 15:28  



Il personaggio di Weronika esperimenta, dentro e fuori di sé, l'emorragia della soggettività. Weronika patisce una sofferenza insopportabile perché va oltre i limiti della propria corporeità; come persona fisica è necessariamente malata, non essendo in grado di sostenere “naturalmente” la fuga dell'io. Weronika trascende se stessa e quindi attua una lacerazione incolmabile, provoca una reazione violenta dentro il proprio essere, che non è in grado materialmente di sostenere l'urto dello sfogo. Non c'è sdoppiamento in Weronika, perché lei non è assolutamente a conoscenza dell'altra, Véronique, che peraltro, come personaggio, si costruirà solo successivamente in quanto possibilità di captazione, misteriosa capacità di lettura e di percezione di una forza che ha lasciato il suo segno nel mondo. Weronika libera un'energia sproporzionata, lascia che le sue potenzialità umane travalichino le condizioni dello stare tra le cose per misurarsi con la loro finitezza. Quello di Weronika è un movimento tangenziale; è come sospinta da un'ansia indeterminata, poiché esiste di per sé, non si forma per l'urto con le mancanze dell'attesa. È una potenza cosmica, che rende deboli le tensioni della vita ordinaria. Anche i confini di un'ipotetica scissione si perdono, travolti dall'assoluta invasione della propria unicità, spinta fino alla dimenticanza di sé come persona attraversata dalle interferenze degli altri. La doppia vita di Weronika, il suo poter essere per un'altra persona, è solo un trasferimento temporale e narrativo, lasciato alla posticipazione verso un personaggio simile, che lui si vivrà le pene delle scissione.
Ma la fonte del dramma è completamente altra; il rapporto di Weronika col mondo è deflagrante, rivoltato spazialmente e temporalmente. La ragazza non si guarda allo specchio; il senso della sua posizione nell'universo sta tutto in quella piccola palla, in quella piccola sfera che restituisce l'ìmmagine curva, convenzionalmente distorta, del movimento della realtà. In effetti Weronika determina una vera e propria curvatura dell'universo attorno a sé ponendo semplicemente in essere la propria soggettività dilagante ed esasperata. Così non conta tanto la sua inadattabilità al mondo, quanto la capacità di assorbirlo in una pulsione la cui potenza “infinita” deriva proprio dalla sua inspiegabilità. Weronika è trascinata da una forza che è dentro di sé e che agisce comunque, fino ad identificarsi con tutto il suo essere; così l'esterno esiste solo come momento di quella stessa forza e come tale è determinato da essa. La soggettività di Weronika si esprime nel misticismo del canto, in una esaltazione quasi allucinata di sé; qui sembra esprimersi in tutta la sua fantastica violenza l'energia che sottomette ogni cosa e che fa morire la ragazza in una sorta di estatico autoannientamento. Quel canto è l'onda che si propaga nell'universo e che attraverserà l'esistenza di un doppio che non è mai stato tale, neppure quando, in passato, le due giovani donne avrebbero potuto incontrarsi.
Kieslowski ci dà modo, con questo film, di pensare il problema della soggettività. Preso atto che la vicenda di Weronika non è un'ìnterrogazione sulla trascendenza, poiché non vi sono neppure gli elementi umani per un confronto con le probabilità di un ente superiore, la questione che si pone è come può essere interpretato l'evento catastrofico di cui è portatrice la figura della giovane donna. Weronika è un individuo sbilanciato e anomalo, ma non distinguibile patologicamente, se non sul piano medico-diagnostico di un'insufficienza cardiaca, data fin dal principio come indizio di una situazione a rischio. Però non si è in grado di indicare un particolare “spostamento” psicologico che spieghi, anche proiettivamente, la condizione del suo affanno.
Ella pare destinata a costituire un campo di forze in grado di interagire con un'altra soggettività, quasi a determinare statisticamente la probabilità di una duplicazione di sé in un altro sistema. Non si tratta qui della possibilità che possano esistere due persone spaventosamente simili - narrativamente quindi non ci troviamo di fronte alla fascinazione del sosia -, ma della meraviglia che una soggettività possa rivelarsi per mezzo della somma esistenziale di due entità lontane. Véronique avverte che la sua persona è incompleta, che qualcosa in sé ha preso origine da un'altra parte, che anche la sua ansia ha per oggetto qualcosa di indeterminato. Le due donne non sono come poli che si attraggono - a questo punto la morte di una delle due provocherebbe un'interruzione dell'azione a distanza -, ma sono due regioni “incomplete”, in costante disordine per l'irrealizzabilità dell'incontro. Weronika lascia una traccia nella materia, una zona perturbata che non dipende più dalla sua presenza concreta. Ed il canto è effettivamente il segno di questo movimento d'onda, che si propaga nell'essere e che può venir ricevuto da un'individualità affine. Forse la doppia vita di Weronika è solo il fenomeno che cela l'eventualità di una durata oggettivamente divisa, ma soggettivamente unica.
Si diceva prima del problema della soggettività; il film di Kieslowski apre alcuni interrogativi di forte drammaticità. Infatti non è pensabile che la vicenda delle due ragazze nasconda o alluda a contenuti misterici, se si tien conto - sul piano della visione ed anche della immediata leggibilità storica -, della loro concreta fisicità, della loro corporeità così spontanea. Non si percepisce la presenza del soprannaturale e perciò l'evento rappresentato ha tanto più del sorprendente. Ma appunto questa indecifrabilità ci porta sul terreno di una interpretazione che va oltre i caratteri della stranezza e della straordinarietà.
Come può essere vista oggi la posizione del soggetto, la sua individualità, la sua capacità di trascendere l'apparenza, la sua sofferenza di fronte ai limiti del contingente, la sua esuberanza rispetto alla penuria dei dati di fatto? E ancora teoricamente legittimo spiegare i turbamenti dell'io in termini di dissociazione, progettualità, volontà di potenza, dislocazione, frantumazione, invalidità oggettuale, autismo trascendentale, patologia della categorizzazione...? Ha qualche significato ricorrere al rapporto con la socialità liberamente intesa per giustificare od interpretare repressioni e liberazioni? La caduta dell'ideologia comunista appare più come un'interferenza che come una ragion d'essere; Weronika vive una suppurazione dell'io. La Storia fa da sfondo alla sua ansia, anzi proprio nella storia si annida il caso, il costituirsi infinito di situazioni per cui lei potrebbe incontrare il suo doppio, che per il momento esiste solo come singolarità sconosciuta. Ma ora Weronika vive esclusivamente il proprio essere autoritario, contro l'idea che l'entropia si annulli. La sua persona si consuma in breve tempo e nella morte realizza l'assoluto di sé come negazione della legge, della fenomenicità. Ormai il soggetto sì è staccato da sé e dal mondo, è pura affermazione estetica, è l'urlo doloroso verso il nulla che è rimasto. L'oggettività si è spoliata tanto delle sue violenze quanto delle sue concessioni; il soggetto non ha niente contro cui lottare. Egli può ormai pensare l'infinito poiché nessun motivo lo trattiene; la realtà ha perso il potere di costituirsi come fondamento.
Weronika vive una progressiva dimenticanza fisica del mondo; di contro l'ordine delle cose non sostiene più dialetticamente la determinazione della soggettività. Lo studio del reale è ormai del tutto incapace di spiegare la separazione in atto, che vede da una parte l'io sempre più insofferente verso le metamorfosi della materialità. L'antica fenomenologia ha finito per disincantare la coscienza; questa sembra rassegnata al fatto che non può produrre alcunché, però si percepisce come trascendenza illimitata. Così irrompe nel tempo per vanificarlo con la morte, per annientarlo con la forza di una lacerazione straziante.
Viene del tutto a crollare il regno della giustificazione, della dottrina che appronta la causa per dare atto dell'individualità nel momento stesso in cui la riduce a componente dell'essere ordinario. La liberazione dal sistema non produce alcun effetto, se non quello di illudere che ognuno possa “riacquistare” un'identità a buon mercato.
Il mistero di Weronika è nella sua eccezionalità, nella sua tensione irriducibile, nell'incompatibilità con le forme del tempo. Il suo destino è tutto in questo correre incontro alla morte, perché da sempre ha rinunciato a riflettersi nell'esistenza dell'altro. Nella vicenda di Weronika c'è il senso di una soggettività braccata, ma proprio per questo ostinata e decisa a non placarsi nelle regole del gioco. Il suo sguardo è rivolto altrove, verso un'indeterminazione che è fuga da tutto, che significa l'impossibilità di trovare tra le cose una qualsiasi risposta alla propria immanenza, In tempi di erosione dell'io, di pettegolezzo audiovisivo, di chiacchiera onnicomprensiva, Kieslowski ci racconta una storia “misteriosa”, forse per direi che l'unica risorsa del soggetto, in un mondo produttivamente costipato, sta nell'esagerazione di sé, nei termini di un distacco dal tutto, al fine di distinguersi come totalità a sé stante. Questo esonero dell'esterno vuol dire, strategicamente, la propria fondamentale inesauribilità di fronte alle determinazioni del concreto; il mistero di Weronika sta nella negazione della dipendenza, nell'essere una possibilità inspiegabile. Il suo destino è la sua estrema solitudine.
Véronique di contro vive di riflesso e non agisce in lei la forza del “fantasma”. In lei il mistero si stempera nel racconto, nel bisogno di una temporalità che dia senso alla sua storia e alla sua esistenza. Ma qui non ci troviamo più nell'eccezionale; poco a poco scivoliamo in una narrazione già preparata, in una fiction che sconta prevedibilità e coincidenze, Il film perde il suo carattere di rivelazione e si aggroviglia attorno ad un personaggio, il burattinaio, la presenza del quale fa sì che appaia sulla scena un elemento di trascendenza, che via via scioglie - letteralmente - l'incantesimo della prima parte. Come depositario del segreto, come una sorta di inviato dal cielo, toglie al personaggio la violenza e la paradossalità della reincarnazione, per riportarlo, teologicamente, alle dipendenze di una volontà superiore. Egli provoca la ragazza all'inquietudine e, così facendo, la sottomette ad un potere altro da sé, spogliandola, questa volta, della sua soggettività.
Il percorso diviene indiziario, ma in questo modo si espone al rischio della meccanicità, prendendo il racconto il sopravvento sulla materia. Così anche la scrittura cinematografica trapassa da un'impetuosità del segno, da un crescendo condotto dal rivelarsi all'occhio del personaggio, ad un ripiegamento sulla suggestione di una storia che logicamente deve raccogliere le incertezze disseminate, Kieslowski sembra voler mettersi al riparo dalla fuga linguistica messa in atto dalla “vera” Weronika, colei che ha portato al limite l'espressione di sé, per ricomporsi cinematograficamente in uno sguardo più controllato, più adatto al riapparire dell'attesa per lo svolgersi della vicenda. Perciò Véronique diviene in tutto e per tutto un personaggio della finzione, una soluzione narrativa che sopporta una materia indebolita. C'è una perdita di centralità attenuata solo dalla straordinaria rassomiglianza fisica con Weronika, ma ora la donna è presa tra le maglie di una rete contro cui non ha alcun potere; anzi non può far altro che stare al gioco e far sua la magia delle marionette. Véronique è quello che Weronika non ha voluto essere; non ce la fa ad imporsi sul piano esistenziale e su quello estetico - e cosi si porta dietro le contraddizioni dell'atto mancato.

Autore critica: Angelo Signorelli
Fonte critica: Cineforum n. 306



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E' una storia che è successa ieri, ma io so che è domani.

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