FilmUP.com > Forum > Attualità - La situazione boliviana
  Indice Forum | Registrazione | Modifica profilo e preferenze | Messaggi privati | FAQ | Regolamento | Cerca     |  Entra 

FilmUP Forum Index > Zoom Out > Attualità > La situazione boliviana   
Autore La situazione boliviana
gatsby

Reg.: 21 Nov 2002
Messaggi: 15032
Da: Roma (RM)
Inviato: 15-10-2003 14:19  

Martedì 14 Ottobre 2003 C
di ROBERTO ROMAGNOLI


ROMA Le Ande boliviane si tingono di sangue. Del sangue versato per la “guerra del gas” che dall’inizio della protesta (15 settembre) fino a sabato scorso si era portata via cinque vite. Poi, domenica, sotto i colpi delle armi dei soldati sono caduti in venti, e ieri altri quattro. Una quota “sufficiente” per spingere il presidente della Repubblica, Sanchez de Lozada, a dichiarare che è disposto al dialogo con le forze sociali e sindacali. Ma anche a beffarsi del dolore della gente, soprattutto indios aymara, dichiarandosi dispiaciuto delle vittime ma giustificando l’intervento armato perché «io sono come un papà» che deve assistere tutti e garantire i servizi. Il vescovo di El Alto, Jesus Suarez, chiede a poliziotti e soldati di non sparare sulla gente e disobbedire agli ordini.
A El Alto, porta principale di ingresso alla capitale La Paz ed epicentro della contestazione e degli scontri, le strade sono invase da carri armati e blindati così come la grande arteria che conduce a La Paz; militari ovunque, postazioni con mitragliatrici. La strage di domenica ha coinciso con il transito sotto scorta di una decina di cisterne dirette a La Paz per rifornire i distributori di benzina. La popolazione ha cercato di opporsi e la risposta sono state le raffiche di mitragliatrice: oltre ai morti una novantina di feriti.
L’ordine di militarizzare la zona di El Alto, la scorsa settimana, non ha fatto che inasprire un confronto che ha alle radici una endemica situazione di miseria. Il Paese sudamericano con un reddito lordo annuo pro capite di 2380 dollari è il più povero dell’Area latino-americana (Cuba esclusa). Al di fuori del Continente africano è tra i Paesi con il più alto tasso di mortalità infantile.
Ecco allora che ciclicamente scoppia qualcosa. Stavolta tutto è cominciato quando è venuto a galla un progetto di esportare gas boliviano in Messico e Stati Uniti attraverso un porto cileno o peruviano senza alcun processo di raffinazione interno, utile per le tasche della popolazione. Un affare che riporta a galla anche il ricordo della guerra del 1879 tra Cile e Bolivia che tolse a quest’ultimo Paese lo sbocco al mare. Un affare, come tutti quelli che hanno fatto seguito all’onda di privatizzazioni del primo governo Lozada (1993-1997) che lasciano le briciole alla Bolivia: in media non più del 20 per cento del valore di ogni contratto.
La protesta - promossa dal deputato indio Felipe Quispe - comincia a metà settembre con uno sciopero civico a El Alto ma si tinge ben presto di sangue: sei le vittime in scontri nella località di Warisata. Dopo nove giorni la Centrale operaia della Bolivia (Cob) guidata dal deputato Evo Morales, leader dei coltivatori di coca, proclama uno sciopero generale a tempo indeterminato. Cortei, proteste, rivendicazioni e interruzioni stradali si moltiplicano. Il governo risponde dicendo che non riconosce l’agitazione. Alla protesta aderiscono maestri, universitari, pensionati, gli edili. Si protesta per il gas ma anche per rivendicazioni di settore e tutti chiedono a gran voce le dimissioni del capo dello Stato. Il primo ottobre “papà” Sanchez de Lozada esclude le dimissioni e dice che «non ci sarà stato di assedio perché non c’è disordine nel Paese». Anche i coltivatori di coca e i minatori scendono in strada. El Alto è paralizzata e anche La Paz non se la passa meglio; scarseggiano benzina e alimentari, i trasporti sono fermi, molti commercianti chiudono per mancanza di merce e per paura, l’aeroporto viene chiuso. Lunghe file per comprare beni di prima necessità il cui prezzo si impenna.
La situazione precipita mentre il governo accusa i leader della protesta di voler tentare un colpo di stato. Poi il massacro di domenica e l’offerta, ieri, di sospendere con un decreto l’operazione-gas fino a quando non saranno realizzati, entro il 31 dicembre, incontri e consultazioni - che il governo si affretta a far sapere che non avranno carattere vincolante - con le parti sociali in lotta. Ma è troppo tardi. Si sgretola anche il fronte di governo: il vicepresidente Carlos Mesa spara bordate sui metodi repressivi mentre tre ministri si dimettono. Dopo un’ora l’annuncio che il presidente Lozada «rivolgerà presto» un messaggio alla nazione «per chiarire la sua posizione». Dopo 35 morti, sicuramente difficile.

E

Mercoledì 15 Ottobre 2003 Chiudi

Dilaga la protesta. Il presidente miliardario: non me ne vado
Rivolta in Bolivia: 60 morti



di LORIS ZANATTA *

CHISSÀ se la Bolivia si fermerà per tempo. E il tempo per farlo le resta. O se scenderà nell'abisso su cui da tempo si affaccia nell'indifferenza o impotenza generali. Specie dei più interessati, come l'Organizzazione degli Stati Americani e gli Stati Uniti: tutti distratti, quasi ci volesse la sfera di cristallo per prevedere una bufera che dense nubi annunciavano da tanto. C'è da chiederselo, e da farlo con terrore, perché la storia boliviana è intrisa di sangue e violenza. Nella piazza principale di La Paz aleggia ancora lo spettro del presidente Villarroel, del suo cadavere lasciato a penzolare dai lampioni per giorni, e dei suoi ministri dilaniati dalla turba. Correva l'anno 1946, e di colpo lo Stato era scomparso. Lo Stato c'era, invece, eccome, quarant'anni più tardi, nelle galere e nelle fosse comuni dove finirono a frotte gli avversari del generale Banzer.
Dispotismo o anarchia: la Bolivia compie 21 anni di democrazia ma si direbbe trovarsi da capo. Al bivio di sempre. Nelle condizioni di sempre: povera e divisa. La più povera del continente. Eppure non sono passati dieci anni da quando veniva additata a modello. Proprio così. Come la vicina Argentina. Erano i tempi del primo governo di Sànchez de Lozada, lo stesso presidente che oggi siede sulla poltrona più bollente dell'America Latina, ed il consenso di Washington regnava indiscusso col suo miraggio di democrazia e liberismo senza freni. Il governo di La Paz fu preciso e zelante: iperinflazione strangolata, conti risanati, imprese privatizzate. Anche le antiche e obsolete miniere di stagno, roccaforte di uno dei movimenti operai più forti dell'America Latina, furono finalmente chiuse. Eppure, si diceva, siamo da capo. Il consenso di Washington è alle spalle, obsoleto a sua volta: parola di Celso Amorim, ministro degli Esteri brasiliano. Ed i 25.000 operai che abbandonarono l'altipiano con le loro famiglie sono andati ad ingrossare il movimento di Evo Morales. Quello dei cocaleros, i coltivatori di coca, pionieri della frontiera boliviana, cui è difficile imporre la rinuncia ai magri guadagni in nome della salute dei cocainomani di Parigi o New York. Specie se in cambio di improbabili colture alternative.
La democrazia non ha sfamato i boliviani, ed ora rischia di esserne divorata. Vittima di odi, rancori, sfiducia. Non bastassero la miseria, la disoccupazione, la stagnazione, le diseguaglianze, non bastassero gli scontri tra militari e poliziotti, un'altra, terribile scintilla è scoccata in quella polveriera: il nazionalismo. E quando la protesta sociale si salda al nazionalismo, è allarme rosso e la probabilità che la spirale di violenza e repressione si inneschi sale alle stelle. Se poi, come nel caso boliviano, su tale miscela si innesta la maturazione di un profondo sentimento indigenista, apriti cielo. In tal senso, i giacimenti di gas rinvenuti nella provincia di Tarija sono un regalo avvelenato per il governo. Specie per questo governo, eletto a stento sotto l'incalzare della sinistra e dopo una campagna elettorale infestata di ingerenze dell'ambasciata nordamericana. E' ovvio che quel gas, esportato negli Stati Uniti ed in Messico, sarebbe una boccata d'ossigeno. Ed è noto che converrebbe esportarlo da un porto cileno, e non da uno peruviano. Ma l'idea di elargire generose concessioni a qualche multinazionale per esportare una ricchezza nazionale attraverso il porto di un paese, il Cile, colpevole di avere sottratto con le armi alla Bolivia l'accesso al mare, è indigesta per la maggior parte dei boliviani. E' una storia vecchia di oltre un secolo, va bene. E poi, dicono, lo Stato-nazione è defunto. Eppure è così.
Tutto è perduto, dunque, per la Bolivia? Non è detto. Forse c'è ancora tempo. Ce n'è per la comunità internazionale. Soprattutto per quella americana. Sulla crisi boliviana, infatti, andrà in scena una delicata partita politica, nella quale Stati Uniti e Brasile misureranno la loro leadership e saggeranno limiti e opportunità della loro cooperazione. In gioco ci sono la pace e la stabilità dell'emisfero. Ma anche la sua crescita ed equità. Intanto si contano i morti: in pochi giorni sono già sessanta.
* Docente di Storia dell’America Latina
Università di Bologna








_________________
Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un solo momento : quello in cui l'uomo sa per sempre chi è

  Visualizza il profilo di gatsby  Invia un messaggio privato a gatsby  Vai al sito web di gatsby    Rispondi riportando il messaggio originario
gatsby

Reg.: 21 Nov 2002
Messaggi: 15032
Da: Roma (RM)
Inviato: 28-11-2003 11:04  
Il nuovo orgoglio sudamericano



di Vittorio Longhi



“El gas es un derecho, industrializar es un deber”. È uno degli slogan con cui i contadini, gli operai, gli indigeni, ma anche i ceti medi della società civile boliviana, hanno portato alla caduta del governo filo americano di Gonzalo Sanchez de Lozada. Di fronte a una così partecipata e potente protesta popolare contro la svendita del gas agli Stati uniti, alla richiesta di un vero rilancio industriale e, soprattutto, di fronte all’indignazione generale per la repressione violenta della polizia – oltre 70 morti –, de Lozada non ha esitato a dare le dimissioni e a fuggire in Florida. Ora la Bolivia ha un nuovo governo, guidato dall’ex vice presidente, Carlos Mesa, politicamente indipendente, storico e giornalista, che già ha risposto alle richieste del movimento popolare con l’impegno di tenere un referendum vincolante sull’esportazione di gas, di rivedere l’attuale legge sugli idrocarburi – che tiene solo il 18 per cento delle risorse energetiche nel paese lasciandone la maggior parte alle multinazionali straniere del petrolio – e, infine, di promuovere un’assemblea costituente.

L’inaspettata reazione del popolo boliviano al nuovo tentativo di sfruttamento energetico ha suscitato entusiasmo negli altri paesi dell’America Latina, dove un nuovo orgoglio sudamericano si sta decisamente risvegliando e sta portando al rafforzamento dei nuovi leader: da Lula da Silva in Brasile a Kirchner in Argentina, da Chavez in Venezuela a Gutierrez in Ecuador, fino alla recentissima elezione di Lucho Garzon, nuovo sindaco di Bogotà, in Colombia. Di gran lunga minore è l’entusiasmo dell’amministrazione di George Bush, che contava sulle riserve energetiche boliviane. L’interesse all’utilizzo del gas che ha originato gli scontri, infatti, è dello Stato della California, in cerca di fonti di approvvigionamento energetico a basso costo per le reti elettriche. Finora la California ha comprato dalle grandi compagnie texane gran parte dell’energia di cui aveva bisogno, pagando però costi altissimi. Non a caso l’ex governatore democratico Gray Davis, che voleva regolamentare il settore elettrico, ha perso le elezioni contro il candidato repubblicano Schwarzenegger, che invece della deregulation nell’energia ha fatto un punto centrale del suo programma.

Ora, se il nuovo governo boliviano concederà il gas, il passaggio avverrà comunque tramite i grandi porti del Cile, per finire negli impianti delle società statunitensi Intergens e Sempra, in Messico, che riforniscono di energia la California. Il passaggio è ancora più conveniente se si considera che i terminali di Cile e Messico, costruiti dalla Shell, offrono un mercato del lavoro con poche regole, stipendi irrisori e vincoli per la tutela e la sicurezza ambientale pressoché inesistenti. La Bolivia, poi, è talmente povera e indebitata con gli istituti finanziari internazionali che non può certo permettersi rifiuti. Il gas è davvero l’ultima delle ricchezze da sfruttare in questo paese, depredato nei secoli di minerali preziosi come l’argento, l’oro e lo stagno, e tenuto invece come grande riserva per la coltivazione della coca.

Il nuovo governo, perciò, dovrà procedere con cautela, tra le pressioni dei poteri forti nordamericani e la minaccia di una nuova insurrezione popolare. Il presidente Mesa ha già nominato un governo formato solo da tecnici, escludendo la partecipazione diretta dei tradizionali partiti politici. Inoltre ha introdotto i ministeri della Partecipazione popolare e degli Affari indigeni, entrambi affidati proprio a due esponenti dell’etnia aymara, che costituisce l’80 per cento della popolazione. Il potente sindacato, la Central obrera boliviana guidata da Jaime Solares, ha revocato uno sciopero generale a tempo indefinito e una tregua è stata concessa anche dagli emergenti movimenti sociali. Dopo la caduta di de Lozada il discusso leader dei coltivatori di coca, Evo Morales, già deputato e fondatore del movimento per il socialismo, ha detto: “Ci siamo sbarazzati di gran parte della mafia boliviana anche con il contributo degli intellettuali e dei professionisti, ma soprattutto grazie al fronte degli indigeni che hanno bloccato strade, fatto scioperi della fame e sacrificato la vita”.

Tra gli altri esponenti del movimento spiccano Felipe Quispe, capo degli indigeni aymara e del sindacato dei lavoratori rurali e Oscar Olivera, portavoce del coordinamento in difesa dell’acqua e della vita. Quest’ultima, nata nel 2000 in opposizione alla svendita degli acquedotti alla compagnia Usa Bechtel, è oggi un’organizzazione di lotta alle privatizzazioni e di promozione della democrazia partecipativa nella gestione delle risorse pubbliche. È il movimento contadino, in particolare, la forza sociale che guadagna più consensi, specie dopo la perdita di centralità del movimento operaio causata anche dalle liberalizzazioni degli ultimi venti anni. Da tempo la richiesta di partecipazione alla gestione dello Stato e delle risorse naturali mettono in discussione non solo il governo di de Lozada ma l’intero sistema politico boliviano. Gli eventi che hanno portato alla caduta di quel governo, per quanto tragici a causa del massacro di 70 manifestanti, sono il risultato di una presa di coscienza che si inserisce nel contesto continentale e si fa interprete di una nuova opposizione dell’America Latina alla soggezione e allo sfruttamento di Washington.

Sabato 18 Ottobre:

Bolivia: si dimette Gonzalo Sanchez de Lozada


Proteste a La Paz - da Selvas
Il presidente boliviano Gonzalo Sanchez de Lozada dopo 32 giorni di proteste popolari costate un pesante tributo di sangue, ha rassegnato le dimissioni. A succedergli sarà l'attuale vicepresidente Carlos Mesa.

La giornata di venerdì 17 era iniziata in Bolivia con un'imponente manifestazione. Secondo fonti Misna almeno 200mila persone si erano raccolte in strada a La Paz per chiedere al Governo di dimettersi.

L'offensiva del Governo boliviano volta a censurare la stampa e le radio che diffondevano informazioni sulle proteste non è riuscita a spegnere il tam tam che ha raccolto i cittadini boliviani nella capitale. Le intimidazioni e le violenze, sempre secondo fonti Misna, erano nei giorni scorsi molto pesanti "uomini incappucciati a La Paz entravano nelle case. Sono uomini in divisa, probabilmente militari - riferisce Padre Alessandro Fiorina, sacerdote cattolico della diocesi di Bergamo e della Comunità Papa Giovanni XXIII - Lo fanno per terrorizzare la gente. Ora hanno anche iniziato a rapire persone per la strada".

Carlos Mesa, ha deciso di uscire dal partito di Governo, il Movimento nazionale rivoluzionario (Mnr) nei giorni scorsi in segno di protesta contro i metodi violenti e repressivi usati dall’esercito contro i manifestanti, costati la vita a circa 80 persone. Ora lo attende il compito di convocare un'assemblea costituente


BOLIVIA Il programma di Mesa
anubi, 21.10.2003 00:52
Traduzione del testo integrale del discorso di presentazione del governo (formato esclusivamente da personalità indipendenti e formalmente esterne ai partiti parlamentari, e includente anche due nuovi dicasteri senza portafoglio, alla "Questione indigena" ed alla "Partecipazione popolare") pronunciato da Mesa la notte del 17 ottobre, al momento dell'insediamento come presidente costituzionale. Mesa si è poi recato domenica a El Alto, ribadendo la condanna della repressione ma anche tentando di convincere i "vecinos" a smobilitare: Poi ha parlato ad un raduno di saluto dei comandi militari, attribuendo la responsabilità dellem stragi al "potere politico", nel tentativo di assicurarsi la lealtà dell'esercito, giustificato per i morti ammazzati anche con "le mobilitazioni sociali che a volte sono trascese in atti violenti e pericolosi". La COB, il sindacato unitario con base forte tra i minatori, non ha ancora revocato formalmente gli scioperi e ha riconvocato questa sera un "cabildo abierto" (assemblea deliberativa di piazza) a La Paz. Evo Morales e il MAS danno "tregua" provvisoria ma si mantengono fuori dal governo e insistono per Costituente subito, processo a "Goni" e ai suoi ministri e abolizione della Legge sugli Idrocarburi, richiesta base per la "verifica" delle intenzioni di Mesa avanzata come "imprescindibile" anche dalla COB. Infine, la Confederazione contadina e il suo leader aymara, il "Mallku" (uno dei sei portavoce dei popoli originari) Felipe Quispe, tacciono ancora...

Discorso d'insediamento del presidente costituzionale Carlos Mesa Gisbert (La Paz, 17 ottobre 2003)

Cari compatrioti, onorevoli membri di questo Congresso Nazionale: mi tocca di assumere la Presidenza Constituzionale della Repubblica in un momento cruciale della nostra storia. Poche volte nel nostro passato la nazione ha affrontato un momento come questo.

Voglio dirvi che mi animano tre sentimenti che nascono nel mio cuore, il dolore, la speranza e la fermezza.

Il mio primo obbligo, compatrioti, è rendere il mio più profondo e ammirato omaggio alle donne e agli uomini della Bolivia che in questi giorni hanno offerto la loro vita per la patria, per la democrazia, per il futuro e per la vita stessa.

Desidero chiedervi che ci alziamo in piedi e osserviamo il silenzio per un momento per rendere loro omaggio.

Ancora una volta, il popolo boliviano si presenta come un popolo con una convinzione fondamentale nella libertà, nella preservazione della sua integrità, nel suo concetto di sovranità, nel suo spazio di lotta permanente, per una democrazia che sia per tutti.

Questo è lo scenario sul quale dobbiamo oggi costruire il nostro futurom e credo che sia indispensabile capire come dobbiamo concepirci in quanto cittadini e come dobbiamo concepirci in questo spazio all'ombra della bandiera boliviana, in quanto boliviani.

La Bolivia è una nazione complessa, plurale e diversa, e solo sulla sua pluralità e sulla sua diversità potrà costruirsi con un senso, ma se non includiamo il concetto d'unità a questi altri due concetti essenziali non saremo capaci di preservare come chi chiese il Maresciallo Antonio José de Sucre (il luogotenente di Simon Bolivar, ndt), l'integrità della nazione. Solo un premio chiedo alla Patria, ci diceva il Maresciallo Sucre, ed è preservare la sua unità.

Non possiamo oggi guardare alla Bolivia se non guardiamo a quanti per secoli sono stati esclusi e non li guardiamo nella logica di dar loro risposte a quella che non è altro che una legittima presenza, una legittima domanda e un legittimo diritto di essere davvero cittadini di prima classe in un paese condiviso tra uguali. E la Bolivia non è oggi un paese condiviso tra uguali.

Dobbiamo essere capaci di capire il paese, a partire da etine come i quechua, gli aymara, tutte le etnie altrettanto importanti, menziono solo i guaranì, sull'insieme del nostro territorio, che hanno costruito con il loro sangue una storia di ineguaglianza che siamo tenuti a riparare.

Ma, senza alcun dubbio, non sarebbe sufficiente concepire la Bolivia esclusivamente in questo scenario e in questo contesto, la Bolivia è cresciuta e c'è da rendere grazie perché questo è accaduto integrando lo scenario geografico nella sua totalità territoriale. E questa totalità territoriale ha unito l'occidente, l'oriente, il nord e il sud, non sempre con la coesione indispensabile per concepirci come una unità nella diversità.

Abbiamo costruito insieme malgrado le nostre differenze, malgrado questa discriminazione e diseguaglianza non risolte, uno scenario oggi molto più ampio di quello che avevamo nel 1825, pur nel paradosso delle perdite territoriali della nazione.

E nessuno può oggi mettere in discussione che il nostro oriente, che Pando, Beni, Santa Cruz sono parte forte, necessaria, straordinaria della nazione boliviana, nessuno può mettere in discussione oggi che Tarija, Chuquisaca, Cochabamba, Potosí, Oruro, La Paz, sono parte di un tutto che non può concepirsi come separato.

Siamo capaci di guardare al paese in un momento come questo sulla base dell'unità, siamo capaci di capire dall'occidente che la nostra visione del mondo deve associarsi alla visione del mondo dell'oriente, del nord e del sud, siamo capaci dall'oriente oggi locomotiva creativa, ammirevole, straordinaria, generatrice di ricchezza, di capire che solo accettando l'inclusione e l'integrazione possiamo vederci come un tutto.

Io voglio oggi, giacché a nessuno, ad alcuno di voi, sfugge che l'unità della Bolivia è a rischio, chiamare l'insieme dei boliviani a intenderci come un tutto, a rispettarci gli uni con gli altri, ad essere capaci di porci l'uno accanto all'altro in questo scenario comune che ci interpella.

Ci stiamo giocando il destino e ci stiamo giocando il futuro, se non capiamo questo non capiremo perché è indispensabile sbarazzarci dell'egoismo, della meschinità, del calcolo e anche capire che i vecchi odi si risolvono solo nella costruzione di uno scenario di pace.

Io voglio chiamare oggi, in un momento così duro e difficile come questo, tutti e ciascuno di voi compatrioti a ricostruire la pace che è stata sul punto d'essere perduta in questi giorni terribili, solo con l'idea di una pace ancorata al rispetto dei diritti umani e ancorata al rispetto della vita, che è il bene e il dono più prezioso di qualsiasi cittadino, di qualunque paese, solo così potremo capire una nazione che ha senso solo perché aiuta la vita delle sue donne e dei suoi uomini, perché garantisce la vita delle sue donne e dei suoi uomini.

Questa invocazione alla pace vuol dire un disarmo immediato, questa invocazione alla pace vuol dire, sulla base di una proposta sensata, razionale, concordata, trasparente da parte mia come Presidente della Repubblica, che siamo capaci di iniziare oggi a interrompere questi scenari di scontro in qualsiasi punto del paese, là dove questi scenari di scontro sono intrapresi.

Desidero menzionare adesso quali sono le sfide alle quali dobbiamo rispondere immediatamente e che in molti sensi sono sorti e sono andati confluendo a partire dai fatti che ci è toccato di vivere nelle ultime settimane e negli ultimi giorni.

Il mio governo ha davanti a sé un insieme di sfide che nasce dalle sfide poste da tutti e ciascuno tra i boliviani adesso. Il mio governo è sfidato a rispondere al tema del gas, e al tema del gas non si può rispondere oggi senza la partecipazione dell'insieme dei boliviani e delle boliviane.

Il tema del gas determina il nostro futuro e il nostro corso perlomeno di breve e medio periodo. Quel che diciamo su questa ricchezza naturale sarà decisivo per il nostro sviluppo interno e per le nostre relazioni col mondo. Quando prendiamo la decisione dobbiamo pensare a ciò che questa implica.

La richiesta della società boliviana è stata un referendum vincolante e la risposta del presidente Carlos Mesa è l'accordo a realizzare un referendum vincolante.

Questo è un aspetto fondamentale. Vedremo se saremo capaci di affrontare questo tema e di rispondere a questo referendum sulla base di una coscienza non manipolaa dall'una o dall'altra parte, con un dibattito aperto, limpido, trasparente e condiviso da tutti e da ciascuno di noi per difendere davvero le idee che crediamo rendano migliore e più comprensibile la risposta che i cittadini devono dare.

Questo refendum e il tema del gas devono unirsi al concetto del nostro rapporto con il tema degli idrocarburi e della loro amministrazione. E in questo senso dobbiamo anche lavorare per una modificazione della Legge sugli Idrocarburim e ad un'analisi di ciò che ha rappresentato il processo di capitalizzazione in quest'ambito. Questi sono altri aspetti fondamentali.

L'altro elemento centrale, il vero nodo che dobbiamo essere capaci di sciogliere per la costruzione di questo paese nuovo di cui abbiamo bisogno è la richiesta dell'assemblea costituente. Cosa vuol dire assemblea costituente? Qui voglio espremermi chiaramente e voi colleghi parlamentari, il paese, lo sapete: all'inizio in non ero faverovole all'assemblea costituente nel contesto della visione della nostra costituzione, ma un cittadino, e questo è quello che sono, deve esprimere un'opinione ed ascoltare le opinioni dell'insieme della società.

Indubitabilmente lo scenario storico di oggi, sembra chiedere la risposta di un disegno di società diverso dal disegno di società che ci ha portato dove siamo adesso.

Un'assemblea costituente vuol dire che discuteremo quale paese vogliamo e quali sono le regole del gioco sulla base delle quali questo paese funzionerà una volta che questo processo andrà avanti.

Ciò vuol dire che tutti e ciascuno di noi dobbiamo apportare alla proposta di assemblea costituente elementi centrali di forma e di fondo: elementi centrali che definiranno temi essenziali sulle nostre risorse naturali, sulla questione della terra, sulla concezione della partecipazione democratica cittadina, sulla struttura del funzionamento di un meccanismo di rappresentanza quale è il Congresso Nazioanle, sull'insieme dei temi.

Voglio ricordare qui la proposta nata nel dipartimento di Santa Cruz, una proposta che perseguiva e persegue un'idea, la rifondazione della Bolivia. Vorrei sottolineare che non a caso la capacità creativa in questa proposta di disegno del paese ha un punto di partenza in uno scenario storico così vitale, così ammirevole come quello del dipartimento di Santa Cruz.

E voglio ricordare che in questo stesso parlamento, quando fu posta la discussione su questo documento, dall'occidente della Bolivia, da diversi partiti politici venne una risposta che si definiva come una base di discussione. Qeusta base di discussione che dev'essere ovviamente arricchita in tutti gli ambiti della nazione, questa base di discussione dev'essere avanzata a partire da una concezione trasparente, perché ci stiamo giocando il futuro e ciò implica responsabilità, razionalità, ma anche fermezza nei principi che ciascuno di noi difende sull'assemblea costituente.

Voglio porre come un obbligo della mia gestione presidenziale, trovare il percorso per avere un'assemblea costituente che definisca in un breve periodo, che però è un periodo necessario, qualle che sarà la concezione del nostro futuro.

Un altro tema fondamentale è il tempo del mio governo: la Costituzione Politica dello Stato e il mandato che questo Congresso mi dà, in funzione di quel che dice un articolo specifico sul caso della succesione costituzionale, indica che il mio mandato debba concludersi il 6 agosto del 2007. Voglio proporre formalmente al Congresso Nazionale la presa in considerazione di un tempo di transizione storica che ci permetta di dare una risposta alle sfide menzionate e che ci permetta di convocare elezioni trasparenti, credibili ed effettive per consacrare un nuovo presidente in un tempo che questo Congresso e questo potere esecutivo che comincia a lavorare, trovino ragionevole.

Ma voglio dirvi chiaramente che intendo come mio obbligo oggi quello di presiedere un governo di transizione storica che risponda a queste domande. Lascio davanti al Congresso della Nazione questa proposta affinché possiamo studiare con serenità lo spazio e il tempo di sviluppo di questa gestione.

Tocco adesso una questione cruciale per il paese e voglio chiedere a questo Congresso e ai partiti politici che lo rappresentano, uno sforzo fondamentale di sacrificio, comprensione e accordo con la patria.

Io credo che i boliviani che mi vedono oggi Presidente della Repubblica, vogliano un governo con le migliori e i migliori boliviani, e questo vuol dire un governo che abbia un potere esecutivo che non trovi la partecipazione attiva di alcun partito politico.

Un gobgoverno svinvolato dalla militanza partitica, è un governo che deve recuperare credibilità per i partiti politici. Sono assolutamente convinto che la democrazia può essere intesa solo attravero partiti politici fortemente credibili, trasparenti, rinnovati. Non sto intraprendendo un'azione contro la politica bensì sto ponendo uno scenario di recupero di credibilità del Potere Esecutivo, del parlamento e dei partiti.

E ciò è e sarà possibile solo se voi membri di questo parlamento appoggerete il mio governo malgrado vi stia chiedendo il sacrificio che i vostri partiti non vengano a far parte del potere esecutivo. Se voi non mi appoggiate non potremo andare avanti.

Cfredo che tutti noi siamo coscienti che se il paese sta giocandosi la vita, dobbiamo essere disposti a dare tutto perché non la perda, ma voi sapete, esattamente come me, che voi ed io ci stiamo giocando la vita, nel senso della nostra agibilità come società, nel senso della nostra agibilità come struttura democratica credibile e costruita a largo raggio.

I partiti devono rispondere oggi alla sfida più grande della loro storia. Ci sono in questo parlamento partiti con una storia di grandissimo spessore e ammirevole e ci sono partiti nuovi con sfide incredibili e grandi, tutti ugualmente nel rischio che il paese vi volti, ci volti le spalle, dobbiamo essere capaci di capire che la salvezza di ciò per cui abbiamo speso tanta parte della nostra vita, la salvezza di queste idee, di questa struttura politica nella quale voi avete creduto, passa per la capacità che voi avrete di dare generosamente alla Bolivia un governo stabile, con un sostegno parlamentare solido e una indipendenza che gli permetta un'azione sensata al servizio del paese.

Qui, due temi fondamentali. Io sono stata eletto vicepresidente della repubblica, tra gli altri aspetti fondamentali, per lottare contro la corruzione. Un compito chiaro e inequivoco, senza concessioni che avrà il mio governo è una lotta frontale senza alcun timore contro la corruzione in tutti gli aspetti dello Stato.

In un momento di tale crisi per il paese, la nostra istituzionalità è stata messa alla prova, e la nostra istituzionalità ha dimostrato malgrado tutto - e per questo sono qui, e per questo voi siete qui - che abbiamo, con una coscienza democratica profonda, preservato le istituzioni contrali che permettono l'avanzamento di questa democrazia verso un orizzonte di speranza, ma è chiaro che l'insieme delle istituzioni dello stato boliviano hanno attraversato una crisi seria e che dobbiamo lavorare con impegno per il rafforzamento di tutte e ciascuna delle istituzioni dello stato e per la ricomposizione della relazione tra lo stato e la società che, all'oggi, è lesa.

Dobbiamo ricomporre uno stato che risponda al cittadino e un cittadino che si senta coinvolto nel suo stato perché è questo stato che serve il cittadino.

Questa relazione lesa chiede il recupero dell'applicazione della legge, un tema che, voi lo sapete, posi con preoccupazione lo scorso 6 agosto. Capiamo che solo il compimento della legge, una legge uguale per tutto, cosa che adesso non accade, ci permette di portare oggi, nelle prossime ore avanti lo scenario del futuro.

Questo è un aspetto fondamentale, ma è anche un aspetto fondamentale l'austerità, un'austerità che non sia a parole, che sia fatti: spero di potervi mostrare nell'esercizio della presidenza e nell'amministrazione del governo che se chiederemo sacrifici saremo capaci di esserne noi stessi l'esempio, nell'insieme dell'amministrazione dello stato e in particolare del governo della nazione.

Vorrei ora, nel concludere il mio intervento, chiedere in tutta umiltà al popolo della Bolivia che ci dia uno spazio e un tempo per lavorare. Voglio chiedere ai miei compatrioti che la costruzione della pace e la ricomposizione della vita come nostro valore fondamentale, comincino con il rasserenamento di quanti oggi stanno esercitando pressioni per domande cui credo in parte fondamentale questa presidenza sta rispondendo.

Se non siamo capaci di disarmare i nostri spiriti nel cuore e nell'azione, non avremo possibilità di ricomporre lo scenario che abbiamo immediatamente di fronte. E' una richiesta fervida a che la pace scenda nelle piazze, nelle strade, nei villaggi e nelle città su tutto il territorio nazionale, perché la pace, la garanzia dei diritti civili e dei diritti umani, ci permettano una gestione di un paese che funzioni civilmente a partire dal dialogo, a partire dalla costruzione senza pressioni immediate.

Se queste pressioni non cessano, non potremo affrontare le gravi sfide che abbiamo davanti, che abbiamo oggi, anche se sappiamo che molte delle persone che hanno cercato mezzi di pressione presentano domande che vallo più in là di ciò che sta accadendo adesso. Facciamo uno sforzo, muoviamo la nostra posizione, quella di ognuno, affinché la discussione di queste domande oggi, domani, dopodomani non avvenga sotto pressione.

Voglio dirvi con assoluta onestà, che la situazione economica del paese è straordinariamente delicata e voglio dirvi che dobbiamo fare tutti uno sforzo di collaborazione e ho fiducia che l'appoggio, l'intelligenza e la comprensione che già mi hanno offerto i membri, le nazioni, gli organismi della comunità internazionale ci possono fornire sostegno in questo momento così difficile, e che la responsabilità dei boliviani, l'appoggio e la solidarietà internazionali ci permettano di superare un passaggio eccezionalmente difficile.

Lo Stato oggi non può dare una risposta efficente ed effettiva a tutte le richieste legittime del popolo. Voglio chiedervi di capire che ricomponendo una struttura basica di funzionamento potremo cominciare ad analizzare tutte e ciascuna delle risposte, ma voglio dirvi anche che quelle risposte che possiamo dare in piccola scala e che danno un segnale della nostra volontà, le daremo. Non sono nella logica di dire "questo no e non mi muoverò un millimentro dal no".

Voglio dirvi che nella misura delle possibilità di mostrare la nostra volontà, lavoreremo perché questa volontà si esprima in fatti.

Compatrioti, il destino della Bolivia è nelle nostre mani, mettiamo a riflettere nella logica di ciascuno di noi. In ciascuno dei cuori e degli spiriti vostri c'è una visione della Bolivia. In ciascuno di voi che mi state vedendo attraverso la televisione, che mi state ascoltando attraverso la radio c'è una visione della Bolivia. Lavoriamo perché questa nostra visione sia quella di garantire e preservare l'unità nella diversità della patria tutta. Lavoriamo a disegnare una nazione che ci dia asilo con maggiore equità, con maggiore giustizia, riconoscendo che ciò che non abbiamo fatto per secoli per i compatrioti esclusi lo potremo fare a partire dallo scenario attuale.

Senza di voi non potrò governare, voi ed io abbiamo la stessa responsabilità, io come primo servitore della Bolivia, servitore, un uomo che serve la Nazione, non un uomo che si serve della Nazione, un uomo che crede nella Nazione.

Dico, per concludere, che il dolore deve trasformarsi in vita, che la speranza dev'essere la cornice nella quale costruiamo, ognuno di noi, il futuro e che la forza di spirito e la benedizione di Dio, il mio, quello di chiunque di voi, quel Dio o quella divinità nella quale ciascuno dei boliviani creda, ci illumini affinché la Bolivia esca bene da questo periodo così difficile. Molte grazie.




_________________
Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un solo momento : quello in cui l'uomo sa per sempre chi è

  Visualizza il profilo di gatsby  Invia un messaggio privato a gatsby  Vai al sito web di gatsby    Rispondi riportando il messaggio originario
  
0.125827 seconds.






© 1999-2020 FilmUP.com S.r.l. Tutti i diritti riservati
FilmUP.com S.r.l. non è responsabile ad alcun titolo dei contenuti dei siti linkati, pubblicati o recensiti.
Testata giornalistica registrata al Tribunale di Cagliari n.30 del 12/09/2001.
Le nostre Newsletter
Seguici su: